Jours de Gloire (Giorni di Gloria)
Il
più adatto vince
Macron
ha vinto sulla Le Pen. Era previsto, scontato. Si è imposto il più
adatto ad un sistema elettorale a doppio turno che ha incentivato
l'astensione ed il voto bianco-nullo (un terzo del corpo elettorale).
Ma la sottostante realtà sociale si adatterà, poi, alle politiche
del vincitore?
Al
primo turno quattro candidati risultavano raccolti in una fascia
ristretta tra il 24,1% ed il 19,58%, separati da un milione e
seicentomila suffragi.
Dal
declino del partito socialista e, meno marcato, del partito
repubblicano, che hanno governato pendolarmente la quinta Repubblica,
sono emerse due novità: il movimento di Mélenchon, bollato come
populista, escluso al secondo turno, e quello centrista, europeista
di Macron, sostenuto dai maggiori mass-media, primo nelle due
tornate.
Sul
breve la continuità del potere dell'establishment è garantita.
L'alternativa Marine Le Pen è rimasta ghettizzata, pur assommando il
34% di voti validi. Per quanto si sia staccata dal padre, fondatore
del Front
National, le
sue radici sono pienamente rintracciabili nel suo programma; inoltre,
una vocazione patriottica che discenda da un regime, quello di Vichy
del maresciallo Pétain, collaborazionista dei nazisti occupanti,
sarà sempre assai poco credibile. Sicché è stato gioco facile, per
il nuovo emergente, compattare attorno a sé tutto l'arco
repubblicano diversamente europeista e costringere i francesi al male
minore.
Incombono
le legislative di giugno. Quale maggioranza si radunerà attorno alla
neonata formazione En
marche!, vista
la convergenza della destra, del centro e della sinistra riformista
sulla sua candidatura?
A
quale prezzo la stagionata esperienza di questi soccorrerà una
giovanile leva poco temprata alle “fatiche del potere”?
Qualcosa
si è rotto e non da ieri. Non sarà agevole ricollocare tutte le
statuine nel presepe della rappresentazione di comodo.
Dal
vivo della società e dell'intelligenza francesi i reali motivi del
contendere non scompariranno d'incanto.
Pasokisation,
girone d'andata
Poiché
al primo turno delle elezioni presidenziali francesi del 23 aprile il
candidato ufficiale del partito socialista Benoît
Hamon,
ex ministro dell'educazione,1
raccoglie appena il 6,4% dei voti e non accede al ballottaggio del 7
maggio, è d'obbligo registrare la conferma di una tendenza generale.
Per definirla compare una nuova parola: pasokisation,
assumendo il declino del Pasok, il partito socialista panellenico,
come emblema di una perdita di consensi che ha coinvolto gran parte
dei partiti europei socialisti democratici e socialisti liberali di
centro-sinistra.
Approdato
al liberalismo sociale di stampo mitteleuropeo (ordoliberismo), il
Pasok era precipitato dal 46,9% dei consensi del 2013 al 4,7% del
2015, risollevandosi, nelle seconde elezioni politiche dello stesso
anno, ad un misero 6,3% grazie all'unione elettorale con Dimar
(Sinistra Democratica).
Ai
commentatori più attenti non sfuggono alcune direttrici del
deflusso: a favore di nuove formazioni di sinistra in Spagna
(Podemos) e, appunto, in Grecia (Syriza); verso i partiti
indipendentisti nazionali di sinistra in Scozia e in Catalogna; a
vantaggio dei verdi come in Austria, Belgio ed Olanda. Proprio nei
Paesi Bassi alle elezioni che hanno preceduto di poche settimane
quelle francesi, il Partito
del Lavoro (PvdA), è passato da 38 seggi ottenuti nel 2012 a 9
seggi.
Per
chi vedeva nelle sconfitte socialiste una “sinistra possibile”,
verde democratica e non liberista, l'unica grande anomalia era
rappresentata dal M5S in Italia, beneficiario trasversale di una
crisi riguardante tutti i partiti di governo e non solo del
centro-sinistra. Mentre una nota a parte meritavano le forze facenti
capo ad Oskar Lafontaine in Germania, Gianīs Varoufakīs in Grecia e
Jean-Luc Mélenchon in Francia che, a fine 2016, apparivano tutte
chiuse in una marginalità ininfluente o di testimonianza.2
Alla
luce dei successivi avvenimenti bisognerà pur spiegarsi il motivo
per cui Mélenchon da quella marginalità è prepotentemente
fuoriuscito con un risultato (19,5%) non di molto inferiore a quelli
raggiunti dai suoi maggiori competitori. Allo scopo non serve
confondere il “sovranismo” del Front
National
con quello di France
Insoumise
(Francia Indomita), basati su due approcci sociali e culturali
opposti.3
Sovranità
divergenti
Le
due compagini muovono da un punto iniziale comune: la rinegoziazione
dei trattati dell'Unione Europea, a cui far seguire un referendum
sulla Frexit (Le Pen) o, in caso di fallimento, un eventuale Piano B
(Mélenchon). Da questo punto si dipartono due strade divergenti: la
prima, in un tripudio di misure securitarie, xenofobe ed
antislamiche, verso una Francia di potenza identitaria nazionalista,
armata e sigillata nelle sue frontiere, capace di recuperare
competitività per il proprio capitalismo industriale ed agricolo;
l'altra, incentrata sul lavoro, sull'agricoltura contadina,
sull'allargamento della democrazia, verso una rinnovata socialità
antiliberista, ecologista, protesa a sostituire il free
trade
con il fair
trade,4
in nome di un internazionalismo contrapposto alla globalizzazione
finanziaria.
Se
è comprensibile che i sostenitori della globalizzazione attuale
cerchino di mettere tutti nello stesso sacco (a ciò serve
l'etichetta “populismo”), la residua sinistra italiana non può
rimuovere sia il problema di partenza della sovranità da
riconquistare, sia la direzione verso cui svolgerla. Roberto
Speranza, dicendosi confortato dalle percentuali ottenute da France
Insoumise, avrebbe dovuto seriamente interrogarsi sulla distanza
delle posizioni di “Art. 1 MDP” rispetto a quelle assunte da
France
Insoumise.
Il
semplice richiamo alle comuni radici storiche di sinistra non basterà
ad “Art. 1 MDP” per sbarazzarsi della pesante ipoteca
rappresentata da tutte le politiche antisociali, di cessione della
sovranità democratica e nazionale al sistema euro, di subalternità
alle imprese belliche della Nato, condivise negli ultimi decenni da
gran parte dei suoi protagonisti, in violazione plurima, sostanziale
e formale, della Costituzione.
Senza
considerare la differenza segnata dalle caratteristiche del movimento
francese di Mélenchon che, non rinunciando alla organizzazione
territoriale, ha saputo utilizzare Internet per radunare più di
450mila aderenti connessi in linea. Ciò avviene mentre nella
sinistra italiana ancora prevale chi grida alla pericolosità della
democrazia diretta, tramite la Rete.
In
attesa del previsto
Rinfrancato
dall'affluenza
alle primarie, il PD di Matteo Renzi si è subito riconosciuto in
Macron, dopo aver professato grande amicizia per Manuel Valls.
Eppure
Hamon aveva prevalso alle primarie d'area.5
Cosa
era accaduto nel frattempo?
La componente riformista, facente capo all'ex primo ministro Manuel Valls, il principale sconfitto, non si era certo attenuta alla dovuta lealtà verso il vincitore delle primarie e si era prontamente riversata sulla candidatura preferibile di Macron. Quest'ultimo era stato ministro dell'Economia, dell'Industria e del Digitale nell'ultimo governo Valls, nonché fermo sostenitore del Jobs act alla francese, ossia della legge sul lavoro (loi travail)
La componente riformista, facente capo all'ex primo ministro Manuel Valls, il principale sconfitto, non si era certo attenuta alla dovuta lealtà verso il vincitore delle primarie e si era prontamente riversata sulla candidatura preferibile di Macron. Quest'ultimo era stato ministro dell'Economia, dell'Industria e del Digitale nell'ultimo governo Valls, nonché fermo sostenitore del Jobs act alla francese, ossia della legge sul lavoro (loi travail)
Pupillo
del presidente Hollande, il 31 agosto del 2016 con mossa tempestiva,
si era dimesso, smarcandosi da una compagine governativa oramai
invisa alla stragrande maggioranza dei francesi, ai quali aveva
somministrato l'esatto contrario di quanto promesso in campagna
elettorale [vedi
riquadro “L'engagement trahi”].
L'engagement
trahi
L'impegno
tradito (da
François Hollande)
Da
“Le Monde diplomatique”,
aprile 2017(*)
«(...)
L'Europa si è indebolita nella misura in cui essa si allontanava dai
popoli, non rispondeva più alla loro attesa, era percepita come
impotente di fronte alle forze del mercato, anche ossessionata dalla
deregolamentazione, incapace di resistere alla mondializzazione
liberale. (…) é
questa Europa che non voglio più.
é
questa Europa che voglio reindirizzare. (…)
«Non
ci sarà successo, non si sarà ritorno all'equilibrio se il trattato
non è che un trattato fiscale [ndr:
di bilancio],
vale a dire un trattato di discipline, di sanzioni che diventeranno
presto delle austerità per tutti i popoli. Questo il motivo per cui
affermo ripetutamente, e lo faccio ancora oggi solennemente, che
rinegozierò il trattato fiscale, non semplicemente per la Francia,
ma per l'Europa tutta (…)
«Anche
certi governi conservatori, spiegano già, dopo averlo sottoscritto,
che questo patto è insostenibile, e domandano già di rivederlo per
quanto concerne gli obiettivi assegnati a loro paese. Vedi la Spagna,
i Paesi Bassi, e presto altri! So pure che tacciono al momento e, pur
conservatori, sperano in una nostra vittoria per rinegoziare il patto
fiscale. (…)
«Il
trattato è firmato, non ratificato, c'è dunque uno spazio di
rinegoziazione.
«Ho
pertanto chiesto un mandato al popolo francese. Se esso sceglie di
portarmi alla presidenza della Repubblica, avrò allora il dovere,
l'obbligo di rinegoziare questo trattato perché il popolo francese
lo avrà sovranamente deciso. La mia determinazione sarà totale. (…)
Non si tratta solamente di una scelta personale. So anche che la
nuova Assemblea nazionale che il popolo francese sceglierà
all'indomani della elezione presidenziale e il Senato non
ratificheranno il trattato allo stato attuale se esso non sarà
oggetto di una seria rinegoziazione. (…)
«Non
sono solo perché c'è il movimento progressista in Europa. Non sarò
solo perché ci sarà il voto del popolo francese che me ne darà
mandato. (…) Non sarò solo perché rispetterò i miei partners,
giacché essi non ignoreranno affatto questa mia volontà. E, al
tempo stesso, non parlerò due lingue, una a Bruxelles e una a
Parigi.»
*
Discorsi di François Hollande nel quadro dell'incontro europeo
“Rinascimento per l'Europa”, Cirque d'hiver, Parigi, 12/3/2012).
In
aprile aveva dato vita ad un suo movimento, En
Marche!
(In marcia!),6
tenendosi alla larga dalle primarie d'area e collocandosi in
posizione utile, giusto nel caso in cui da quelle primarie non fosse
uscito il risultato desiderato.
Pur
titolare di un importante ministero nel governo socialista, si
dichiara “né di destra, né di sinistra”, che è altra cosa dal
definire destra e sinistra chiavi di lettura politica scarsamente
interpretative od inattuali. Intestatario personale di un movimento
fuori dai partiti si autodefinisce liberal-socialista, aderendo alla
corrente mainstream
pluridecennale dei liberisti con attenzione al sociale. Riecheggia
l'ordoliberismo della “economia sociale di mercato”, in cui
l'aggettivo è una etichetta di marketing
per rendere appetibile7
una competizione sfrenata incompatibile proprio con qualsivoglia
vocazione sociale. Non a caso suscita entusiasmi tanto calorosi
quanto più elevato è il patrimonio ed il reddito degli entusiasti.
Come
a suo tempo il suo pigmalione Hollande, campione di impegni
disattesi, vuole “riformare radicalmente” l'Europa, ma tra i
compatrioti molti capiscono che intende riequilibrare l'asse
franco-tedesco, la cosiddetta Europa carolingia da tempo piuttosto
sbilanciata sul lato teutonico.
Al
primo turno ebbe la “fortuna” di concorrere con un candidato,
François Fillon del partito repubblicano, azzoppato dal
Penelopegate,
causato dal suo disinvolto uso familiare di danaro pubblico.
Definito
dalla CNN un “Thatcher alla francese”, Fillon non desistette
dalla nomination ottenuta con primarie di partito con tre milioni di
partecipanti, nell'intento di mantenere viva una presenza elettorale
che alle legislative di giugno potrebbe garantire ai Républicains
un forte potere di contrattazione sul futuro governo del Paese.
Questo perché difficilmente En
Marche!
potrà avvalersi di una presenza territoriale capillare, pari al peso
elettorale acquisito nella gara per l'Eliseo.
A
conti fatti all'Assemblea Nazionale la maggioranza potrebbe risultare
un grande rassemblement, composto da vecchi centristi (François
Bayrou), da liberal-socialisti o/e da repubblicani, cioè da tutte le
forze che hanno pendolarmente governato la Francia negli ultimi
decenni.
In
tutto ciò solo l'atavico provincialismo esterofilo italiano può
vedere qualcosa di sostanzialmente diverso da un “inciucio” tra
Renzi e Berlusconi.
Pasokisation,
girone di ritorno
Come
si evidenziava poc'anzi, il partito socialista francese sembra aver
imboccato la via di un declino simile a quello del partito ellenico
(Pasok), da cui la definizione pasokisation.
Ma
non credo di essere il solo a dovermi soffermare sul duplice
significato della pasokisation.
Le
cronache politiche greche, infatti, ci consegnano un fenomeno di
ritorno alle vecchie geometrie parlamentari (il presepe), care alle
élites dominanti nel vecchio continente.
Syriza,
che aveva trionfato riducendo il Pasok a forza ininfluente ed
assestando un duro colpo anche ai liberal-conservatori di Nuova
Democrazia, si era poi piegata al famoso memorandum,
il diktat ricattatorio della Troika.
Sicché,
omologandosi a quelli che vorrebbero un'altra Europa, ma nonostante
tutto, agli intenti ideali preferiscono puntualmente la pratica di
stare al potere col beneplacito dell'Europa che c'è, hanno finito
per ricoprire il medesimo ruolo lasciato vacante dal Pasok, dentro e
fuori dal parlamento. In altri termini, Syriza si è “pasokizzata”,
nel senso che ha ereditato oltre al ruolo, pure gran parte del
personale politico del vecchio partito socialista.
Una
prospettiva che deve aver alquanto inquietato Jean-Luc Mélenchon.
Benché abbia dichiarato “Andrò a votare, mai per il Front
National“, veniva sottoposto al fuoco di fila di chi voleva si
disponesse allineato e coperto dietro il tedoforo dei poteri forti
Emmanuel Macron (come ha fatto Gianīs Varoufakīs8),
in nome di una union sacrée garante della prosecuzione dello stato
di cose presenti.
Forse
è France
Insoumise perché
non vuole sottomettersi ai continui ricatti dell'establishment,
rientrare nei ranghi e “pasokizzarsi” come Syriza, lasciando
campo libero alla Le Pen.
Tragedie
sociopolitiche
In
gioco c'è il destino delle classi popolari vittime della
globalizzazione, delle delocalizzazioni, dell'Europa di Maastricht a
moneta unica, e con esse quella degli immigrati e dei migranti.9
Molti
saranno rimasti fortemente impressionati da una foto in cui la Le Pen
appare abbracciata dagli operai della Whirlpool, una fabbrica di
Amiens minacciata di delocalizzazione (in Polonia). Quando, quasi in
contemporanea, Macron veniva sonoramente fischiato dagli stessi
operai. Era reduce da una cena di festa con alcuni personaggi vip del
bel mondo globalizzato, alla Copule, un ristorante chic della
capitale.
Com'è
potuta avvenire questa tragedia che, secondo Marco Revelli, sta per
volgere in Italia?
Lo
spiega lo stesso Revelli:10
«Da
noi si è in buona parte consumata con i mille giorni del governo
Renzi. La sinistra è diventata l'opposto di se stessa: l'esodo del
Pd dal suo insediamento sociale si chiama Jobs Act. Fino all'attacco
finale contro la Costituzione.»
Per
Luca Ricolfi11
la sinistra italiana ha perso il filo non di recente, ma parecchi
anni fa:
«(...)
dal 1973, quando l'allora segretario del Pci Enrico Berlinguer
accettò il compromesso storico, che era precisamente un'apertura ai
ceti medi allora egemonizzati dalla Dc.»
Vista
la rilevanza concettuale che Revelli affida al termine populismo nel
suo più recente libro,12
pur non esimendomi dal sottolinearne il prevalente uso di etichetta
infamante affibbiata ad ogni opposizione, forse varrà la pena
ritornarci in futuro. Ciò premesso, sostenere che buona parte dello
sganciamento della sinistra dal suo sedime sociale storico sia
imputabile ai mille giorni del governo Renzi, mi pare una forzatura
assai priva di riscontri concreti. Più propriamente si dovrebbe
parlare di eclatante compimento di un percorso da decenni intrapreso,
le cui tappe più significative, sul piano politico e sociale, hanno
infine condotto a questo prevedibile esito.
Tra
le tante ne cito solo una esemplare: l'inserimento in Costituzione
dell'art. 81 che vincola l'Italia al “pareggio di bilancio”, in
subalternità alle politiche europee d'austerità ed in perfetta
contraddizione con tutto il suo impianto.
Alla
ricerca delle radici della catastrofe sembra recare miglior
contributo Ricolfi, rimandando l'attenzione alla svolta degli anni
settanta dello scorso secolo, quando il Pci si propose al compromesso
storico con la Democrazia Cristiana. Sennonché si rimane sconcertati
dal riferimento alla apertura ai ceti medi. Davvero la politica
berlingueriana dei sacrifici e della austerità è da imputare al
tentativo di guadagnarsi il consenso dei ceti medi egemonizzati dalla
Dc? O, piuttosto, quella apertura portò il Pci a condividere le
pesanti ristrutturazioni produttive ed economiche tanto care ai
poteri forti d'allora?
Si
può obiettare che non fu lineare la prosecuzione di quella politica,
ossia priva di resistenze e pure di temporanei ripensamenti, con
l'attenuante di un quadro europeo e mondiale volgente alla
restaurazione liberista.
Sta
di fatto che, una volta passato il Rubicone nella seconda metà degli
anni settanta, le aperture di quel tipo non finirono mai, sino a
condurci al presente punto d'arrivo. Un punto in cui, non
casualmente, buona parte dei medesimi ceti medi si ritrova coinvolta
da uguale destino, di precaria povertà inizialmente riservata agli
operai, ai quali si chiesero ed imposero sacrifici in nome di una
“salvezza nazionale” a cui le élites
dirigenti ben presto rinunciarono.
Giorni
di gloria
All'indomani
del primo turno delle presidenziali francesi, Aldo Cazzullo13
non riusciva a celare la propria soddisfazione per il risultato
conseguito da Emmanuel Macron. Al secondo turno, dall'esito scontato,
si sarebbe vista la contesa tra l'europeista riformatore e la
populista protezionista nazionalista. Ottimismo contro pessimismo:
c'est
plus facile!
Peccato,
si potrebbe aggiungere, che nel nostro Paese non si possa godere di
un analogo duello, magari tra un Renzi contrapposto ad un Salvini.
Una comoda gloria, ahinoi preclusa da quel maledetto 4 dicembre.
Dalle
stesse colonne, a nutrire qualche perplessità era Massimo Nava:14
«Il
blocco sociale che ha ancora fiducia nell'Europa e in un progetto
riformista compatibile con le regole del mercato, benché
probabilmente premiato dall'aritmetica elettorale, resta ancora
minoritario rispetto all'estremismo populista, al radicalismo di
sinistra e all'astensionismo. Il prossimo presidente dovrà misurarsi
con l'immane sfida di recuperare l'altra metà della Francia.»
Anche
Franco Venturini15
aggiungerà motivi di prudente cautela:
«(...)
pensare che Parigi abbia sistemato tutto sarebbe, per l'Europa
l'ennesimo tentativo di suicidio: la Ue ha guadagnato tempo, ha
ottenuto una prova d'appello, non ha cancellato le sue
inadeguatezze.»
Far
passare lo scontro in atto come una lotta tra europeisti ed
anti-europeisti, come se l'Europa attuale non fosse continua fonte di
diseguaglianze sociali e territoriali, minata alla sua stessa base
dal classismo dei ceti più ricchi e privilegiati, assistiti dal
nazionalismo di supremazia (il verme nella mela), può rassicurare
solo i cantori di glorie altrui.
Eppure,
a ben vedere, in Italia siamo già “avanti” e non abbiamo bisogno
di altri giorni di gloria, avendone sperimentati mille, grazie al
Macron italiano che si è cimentato tanto vigorosamente quanto
vanamente nella “immane sfida”.
Sempre
che la plurivalente vaccinazione, a cui siamo stati sottoposti, non
sia stata del tutto inutile.
Note
1 Escluso
nel 2015 dal secondo governo di Manuel Valls.
2 http://www.huffingtonpost.it/roberto-della-seta/il-declino-dei-socialisti-europei-e-la-sinistra-possibile_b_8861520.html
3 Per
un utile confronto:
Front
National:
https://www.marine2017.fr/wp-content/uploads/2017/02/projet-presidentiel-marine-le-pen.pdf;
France
Insoumise: https://laec.fr/sommaire.
4 Il
commercio liberoscambista (free
trade) è contrapposto al commercio paritario (fair
trade) con gli altri Paesi, in particolare del Sud del mondo.
5 Le
primarie d'area socialista e di centro-sinistra si sono svolte a
doppio turno ed hanno coinvolto Partito
Socialista francese, Partito radicale di Sinistra, Fronte
Democratico e Partito ecologista. L'affluenza complessiva è stata
simile a quella registrata dal PD alle sue primarie del 30 aprile
2017.
6 Palese
il richiamo alla Marsigliese: “Allons enfants de la Patrie, Le
jour de gloire est arrivé!” (Andiamo figli della Patria, Il
giorno della gloria è arrivato!).
7 Motivo
per cui F.
A. Von
Hayeck ne accettò l'adozione, in “Legge, legislazione e libertà,
EST (Il Saggiatore), 2000.
Più
ampiamente vedasi:
http://orizzonte48.blogspot.it/2014/02/gli-oscuri-frammenti-di-un-discorso.html
8 Secondo
Varoufakīs,
Macron ha difeso la parte greca durante i negoziati del 2015 che precedettero l'imposizione di rinnovate misure d'austerità al
popolo ellenico (terzo memorandum).
Non risulta, tuttavia, che si sia mai pubblicamente esposto, né
abbia disgiunto le proprie responsabilità da quelle del governo di
cui era così importante ministro.
9 France
Insoumise
è stata tra le liste più votate nei quartieri di Parigi a più
elevata presenza multietnica.
10 «Una
vera catastrofe sociopolitica»,
così l'ha definita Marco Revelli in una intervista a Il Fatto
Quotidiano, “In Francia è una tragedia, da noi sarà anche
peggio”, 1/5/2017.
11 Luca
Ricolfi, “Macron si sgonfierà, come si è sgonfiato Renzi”,
intervista a Il Fatto Quotidiano, 1/5/2017.
12 Marco
Revelli, “Populismo 2.0”, Einaudi, 2017.
13 A.
Cazzullo, “Il rifiuto del declino”, Corriere della Sera,
24/4/17.
14 M.
Nava, “Il fronte comune (con resa dei conti) nei partiti perdenti
e la strana ipotesi di grande coalizione”, Corriere della Sera,
24/4/17.
15 F.
Venturini, “Bruxelles respira (ma non basterà), Corriere della
Sera, 8/5/17.
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