martedì 9 maggio 2017

Jours de Gloire

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Jours de Gloire (Giorni di Gloria)

Il più adatto vince
Macron ha vinto sulla Le Pen. Era previsto, scontato. Si è imposto il più adatto ad un sistema elettorale a doppio turno che ha incentivato l'astensione ed il voto bianco-nullo (un terzo del corpo elettorale). Ma la sottostante realtà sociale si adatterà, poi, alle politiche del vincitore?

Al primo turno quattro candidati risultavano raccolti in una fascia ristretta tra il 24,1% ed il 19,58%, separati da un milione e seicentomila suffragi.
Dal declino del partito socialista e, meno marcato, del partito repubblicano, che hanno governato pendolarmente la quinta Repubblica, sono emerse due novità: il movimento di Mélenchon, bollato come populista, escluso al secondo turno, e quello centrista, europeista di Macron, sostenuto dai maggiori mass-media, primo nelle due tornate.
Sul breve la continuità del potere dell'establishment è garantita. L'alternativa Marine Le Pen è rimasta ghettizzata, pur assommando il 34% di voti validi. Per quanto si sia staccata dal padre, fondatore del Front National, le sue radici sono pienamente rintracciabili nel suo programma; inoltre, una vocazione patriottica che discenda da un regime, quello di Vichy del maresciallo Pétain, collaborazionista dei nazisti occupanti, sarà sempre assai poco credibile. Sicché è stato gioco facile, per il nuovo emergente, compattare attorno a sé tutto l'arco repubblicano diversamente europeista e costringere i francesi al male minore.
Incombono le legislative di giugno. Quale maggioranza si radunerà attorno alla neonata formazione En marche!, vista la convergenza della destra, del centro e della sinistra riformista sulla sua candidatura?
A quale prezzo la stagionata esperienza di questi soccorrerà una giovanile leva poco temprata alle “fatiche del potere”?
Qualcosa si è rotto e non da ieri. Non sarà agevole ricollocare tutte le statuine nel presepe della rappresentazione di comodo.
Dal vivo della società e dell'intelligenza francesi i reali motivi del contendere non scompariranno d'incanto.
Pasokisation, girone d'andata
Poiché al primo turno delle elezioni presidenziali francesi del 23 aprile il candidato ufficiale del partito socialista Benoît Hamon, ex ministro dell'educazione,1 raccoglie appena il 6,4% dei voti e non accede al ballottaggio del 7 maggio, è d'obbligo registrare la conferma di una tendenza generale. Per definirla compare una nuova parola: pasokisation, assumendo il declino del Pasok, il partito socialista panellenico, come emblema di una perdita di consensi che ha coinvolto gran parte dei partiti europei socialisti democratici e socialisti liberali di centro-sinistra.
Approdato al liberalismo sociale di stampo mitteleuropeo (ordoliberismo), il Pasok era precipitato dal 46,9% dei consensi del 2013 al 4,7% del 2015, risollevandosi, nelle seconde elezioni politiche dello stesso anno, ad un misero 6,3% grazie all'unione elettorale con Dimar (Sinistra Democratica).
Ai commentatori più attenti non sfuggono alcune direttrici del deflusso: a favore di nuove formazioni di sinistra in Spagna (Podemos) e, appunto, in Grecia (Syriza); verso i partiti indipendentisti nazionali di sinistra in Scozia e in Catalogna; a vantaggio dei verdi come in Austria, Belgio ed Olanda. Proprio nei Paesi Bassi alle elezioni che hanno preceduto di poche settimane quelle francesi, il Partito del Lavoro (PvdA), è passato da 38 seggi ottenuti nel 2012 a 9 seggi.
Per chi vedeva nelle sconfitte socialiste una “sinistra possibile”, verde democratica e non liberista, l'unica grande anomalia era rappresentata dal M5S in Italia, beneficiario trasversale di una crisi riguardante tutti i partiti di governo e non solo del centro-sinistra. Mentre una nota a parte meritavano le forze facenti capo ad Oskar Lafontaine in Germania, Gianīs Varoufakīs in Grecia e Jean-Luc Mélenchon in Francia che, a fine 2016, apparivano tutte chiuse in una marginalità ininfluente o di testimonianza.2
Alla luce dei successivi avvenimenti bisognerà pur spiegarsi il motivo per cui Mélenchon da quella marginalità è prepotentemente fuoriuscito con un risultato (19,5%) non di molto inferiore a quelli raggiunti dai suoi maggiori competitori. Allo scopo non serve confondere il “sovranismo” del Front National con quello di France Insoumise (Francia Indomita), basati su due approcci sociali e culturali opposti.3
Sovranità divergenti
Le due compagini muovono da un punto iniziale comune: la rinegoziazione dei trattati dell'Unione Europea, a cui far seguire un referendum sulla Frexit (Le Pen) o, in caso di fallimento, un eventuale Piano B (Mélenchon). Da questo punto si dipartono due strade divergenti: la prima, in un tripudio di misure securitarie, xenofobe ed antislamiche, verso una Francia di potenza identitaria nazionalista, armata e sigillata nelle sue frontiere, capace di recuperare competitività per il proprio capitalismo industriale ed agricolo; l'altra, incentrata sul lavoro, sull'agricoltura contadina, sull'allargamento della democrazia, verso una rinnovata socialità antiliberista, ecologista, protesa a sostituire il free trade con il fair trade,4 in nome di un internazionalismo contrapposto alla globalizzazione finanziaria.
Se è comprensibile che i sostenitori della globalizzazione attuale cerchino di mettere tutti nello stesso sacco (a ciò serve l'etichetta “populismo”), la residua sinistra italiana non può rimuovere sia il problema di partenza della sovranità da riconquistare, sia la direzione verso cui svolgerla. Roberto Speranza, dicendosi confortato dalle percentuali ottenute da France Insoumise, avrebbe dovuto seriamente interrogarsi sulla distanza delle posizioni di “Art. 1 MDP” rispetto a quelle assunte da France Insoumise.
Il semplice richiamo alle comuni radici storiche di sinistra non basterà ad “Art. 1 MDP” per sbarazzarsi della pesante ipoteca rappresentata da tutte le politiche antisociali, di cessione della sovranità democratica e nazionale al sistema euro, di subalternità alle imprese belliche della Nato, condivise negli ultimi decenni da gran parte dei suoi protagonisti, in violazione plurima, sostanziale e formale, della Costituzione.
Senza considerare la differenza segnata dalle caratteristiche del movimento francese di Mélenchon che, non rinunciando alla organizzazione territoriale, ha saputo utilizzare Internet per radunare più di 450mila aderenti connessi in linea. Ciò avviene mentre nella sinistra italiana ancora prevale chi grida alla pericolosità della democrazia diretta, tramite la Rete.
In attesa del previsto
Rinfrancato dall'affluenza alle primarie, il PD di Matteo Renzi si è subito riconosciuto in Macron, dopo aver professato grande amicizia per Manuel Valls.
Eppure Hamon aveva prevalso alle primarie d'area.5
Cosa era accaduto nel frattempo?
La componente riformista, facente capo all'ex primo ministro Manuel Valls, il principale sconfitto, non si era certo attenuta alla dovuta lealtà verso il vincitore delle primarie e si era prontamente riversata sulla candidatura preferibile di Macron. Quest'ultimo era stato ministro dell'Economia, dell'Industria e del Digitale nell'ultimo governo Valls, nonché fermo sostenitore del Jobs act alla francese, ossia della legge sul lavoro (loi travail)
della ministra El Komry.
Pupillo del presidente Hollande, il 31 agosto del 2016 con mossa tempestiva, si era dimesso, smarcandosi da una compagine governativa oramai invisa alla stragrande maggioranza dei francesi, ai quali aveva somministrato l'esatto contrario di quanto promesso in campagna elettorale [vedi riquadro “L'engagement trahi”].
L'engagement trahi
L'impegno tradito (da François Hollande)

Da “Le Monde diplomatique”, aprile 2017(*)

«(...) L'Europa si è indebolita nella misura in cui essa si allontanava dai popoli, non rispondeva più alla loro attesa, era percepita come impotente di fronte alle forze del mercato, anche ossessionata dalla deregolamentazione, incapace di resistere alla mondializzazione liberale. (…) é questa Europa che non voglio più.
é questa Europa che voglio reindirizzare. (…)
«Non ci sarà successo, non si sarà ritorno all'equilibrio se il trattato non è che un trattato fiscale [ndr: di bilancio], vale a dire un trattato di discipline, di sanzioni che diventeranno presto delle austerità per tutti i popoli. Questo il motivo per cui affermo ripetutamente, e lo faccio ancora oggi solennemente, che rinegozierò il trattato fiscale, non semplicemente per la Francia, ma per l'Europa tutta (…)
«Anche certi governi conservatori, spiegano già, dopo averlo sottoscritto, che questo patto è insostenibile, e domandano già di rivederlo per quanto concerne gli obiettivi assegnati a loro paese. Vedi la Spagna, i Paesi Bassi, e presto altri! So pure che tacciono al momento e, pur conservatori, sperano in una nostra vittoria per rinegoziare il patto fiscale. (…)
«Il trattato è firmato, non ratificato, c'è dunque uno spazio di rinegoziazione.
«Ho pertanto chiesto un mandato al popolo francese. Se esso sceglie di portarmi alla presidenza della Repubblica, avrò allora il dovere, l'obbligo di rinegoziare questo trattato perché il popolo francese lo avrà sovranamente deciso. La mia determinazione sarà totale. (…) Non si tratta solamente di una scelta personale. So anche che la nuova Assemblea nazionale che il popolo francese sceglierà all'indomani della elezione presidenziale e il Senato non ratificheranno il trattato allo stato attuale se esso non sarà oggetto di una seria rinegoziazione. (…)
«Non sono solo perché c'è il movimento progressista in Europa. Non sarò solo perché ci sarà il voto del popolo francese che me ne darà mandato. (…) Non sarò solo perché rispetterò i miei partners, giacché essi non ignoreranno affatto questa mia volontà. E, al tempo stesso, non parlerò due lingue, una a Bruxelles e una a Parigi.»
    * Discorsi di François Hollande nel quadro dell'incontro europeo “Rinascimento per l'Europa”, Cirque d'hiver, Parigi, 12/3/2012).
In aprile aveva dato vita ad un suo movimento, En Marche! (In marcia!),6 tenendosi alla larga dalle primarie d'area e collocandosi in posizione utile, giusto nel caso in cui da quelle primarie non fosse uscito il risultato desiderato.
Pur titolare di un importante ministero nel governo socialista, si dichiara “né di destra, né di sinistra”, che è altra cosa dal definire destra e sinistra chiavi di lettura politica scarsamente interpretative od inattuali. Intestatario personale di un movimento fuori dai partiti si autodefinisce liberal-socialista, aderendo alla corrente mainstream pluridecennale dei liberisti con attenzione al sociale. Riecheggia l'ordoliberismo della “economia sociale di mercato”, in cui l'aggettivo è una etichetta di marketing per rendere appetibile7 una competizione sfrenata incompatibile proprio con qualsivoglia vocazione sociale. Non a caso suscita entusiasmi tanto calorosi quanto più elevato è il patrimonio ed il reddito degli entusiasti.
Come a suo tempo il suo pigmalione Hollande, campione di impegni disattesi, vuole “riformare radicalmente” l'Europa, ma tra i compatrioti molti capiscono che intende riequilibrare l'asse franco-tedesco, la cosiddetta Europa carolingia da tempo piuttosto sbilanciata sul lato teutonico.
Al primo turno ebbe la “fortuna” di concorrere con un candidato, François Fillon del partito repubblicano, azzoppato dal Penelopegate, causato dal suo disinvolto uso familiare di danaro pubblico.
Definito dalla CNN un “Thatcher alla francese”, Fillon non desistette dalla nomination ottenuta con primarie di partito con tre milioni di partecipanti, nell'intento di mantenere viva una presenza elettorale che alle legislative di giugno potrebbe garantire ai Républicains un forte potere di contrattazione sul futuro governo del Paese. Questo perché difficilmente En Marche! potrà avvalersi di una presenza territoriale capillare, pari al peso elettorale acquisito nella gara per l'Eliseo.
A conti fatti all'Assemblea Nazionale la maggioranza potrebbe risultare un grande rassemblement, composto da vecchi centristi (François Bayrou), da liberal-socialisti o/e da repubblicani, cioè da tutte le forze che hanno pendolarmente governato la Francia negli ultimi decenni.
In tutto ciò solo l'atavico provincialismo esterofilo italiano può vedere qualcosa di sostanzialmente diverso da un “inciucio” tra Renzi e Berlusconi.
Pasokisation, girone di ritorno
Come si evidenziava poc'anzi, il partito socialista francese sembra aver imboccato la via di un declino simile a quello del partito ellenico (Pasok), da cui la definizione pasokisation.
Ma non credo di essere il solo a dovermi soffermare sul duplice significato della pasokisation.
Le cronache politiche greche, infatti, ci consegnano un fenomeno di ritorno alle vecchie geometrie parlamentari (il presepe), care alle élites dominanti nel vecchio continente.
Syriza, che aveva trionfato riducendo il Pasok a forza ininfluente ed assestando un duro colpo anche ai liberal-conservatori di Nuova Democrazia, si era poi piegata al famoso memorandum, il diktat ricattatorio della Troika.
Sicché, omologandosi a quelli che vorrebbero un'altra Europa, ma nonostante tutto, agli intenti ideali preferiscono puntualmente la pratica di stare al potere col beneplacito dell'Europa che c'è, hanno finito per ricoprire il medesimo ruolo lasciato vacante dal Pasok, dentro e fuori dal parlamento. In altri termini, Syriza si è “pasokizzata”, nel senso che ha ereditato oltre al ruolo, pure gran parte del personale politico del vecchio partito socialista.
Una prospettiva che deve aver alquanto inquietato Jean-Luc Mélenchon. Benché abbia dichiarato “Andrò a votare, mai per il Front National“, veniva sottoposto al fuoco di fila di chi voleva si disponesse allineato e coperto dietro il tedoforo dei poteri forti Emmanuel Macron (come ha fatto Gianīs Varoufakīs8), in nome di una union sacrée garante della prosecuzione dello stato di cose presenti.
Forse è France Insoumise perché non vuole sottomettersi ai continui ricatti dell'establishment, rientrare nei ranghi e “pasokizzarsi” come Syriza, lasciando campo libero alla Le Pen.
Tragedie sociopolitiche
In gioco c'è il destino delle classi popolari vittime della globalizzazione, delle delocalizzazioni, dell'Europa di Maastricht a moneta unica, e con esse quella degli immigrati e dei migranti.9
Molti saranno rimasti fortemente impressionati da una foto in cui la Le Pen appare abbracciata dagli operai della Whirlpool, una fabbrica di Amiens minacciata di delocalizzazione (in Polonia). Quando, quasi in contemporanea, Macron veniva sonoramente fischiato dagli stessi operai. Era reduce da una cena di festa con alcuni personaggi vip del bel mondo globalizzato, alla Copule, un ristorante chic della capitale.
Com'è potuta avvenire questa tragedia che, secondo Marco Revelli, sta per volgere in Italia?
Lo spiega lo stesso Revelli:10
«Da noi si è in buona parte consumata con i mille giorni del governo Renzi. La sinistra è diventata l'opposto di se stessa: l'esodo del Pd dal suo insediamento sociale si chiama Jobs Act. Fino all'attacco finale contro la Costituzione.»
Per Luca Ricolfi11 la sinistra italiana ha perso il filo non di recente, ma parecchi anni fa:
«(...) dal 1973, quando l'allora segretario del Pci Enrico Berlinguer accettò il compromesso storico, che era precisamente un'apertura ai ceti medi allora egemonizzati dalla Dc.»
Vista la rilevanza concettuale che Revelli affida al termine populismo nel suo più recente libro,12 pur non esimendomi dal sottolinearne il prevalente uso di etichetta infamante affibbiata ad ogni opposizione, forse varrà la pena ritornarci in futuro. Ciò premesso, sostenere che buona parte dello sganciamento della sinistra dal suo sedime sociale storico sia imputabile ai mille giorni del governo Renzi, mi pare una forzatura assai priva di riscontri concreti. Più propriamente si dovrebbe parlare di eclatante compimento di un percorso da decenni intrapreso, le cui tappe più significative, sul piano politico e sociale, hanno infine condotto a questo prevedibile esito.
Tra le tante ne cito solo una esemplare: l'inserimento in Costituzione dell'art. 81 che vincola l'Italia al “pareggio di bilancio”, in subalternità alle politiche europee d'austerità ed in perfetta contraddizione con tutto il suo impianto.
Alla ricerca delle radici della catastrofe sembra recare miglior contributo Ricolfi, rimandando l'attenzione alla svolta degli anni settanta dello scorso secolo, quando il Pci si propose al compromesso storico con la Democrazia Cristiana. Sennonché si rimane sconcertati dal riferimento alla apertura ai ceti medi. Davvero la politica berlingueriana dei sacrifici e della austerità è da imputare al tentativo di guadagnarsi il consenso dei ceti medi egemonizzati dalla Dc? O, piuttosto, quella apertura portò il Pci a condividere le pesanti ristrutturazioni produttive ed economiche tanto care ai poteri forti d'allora?
Si può obiettare che non fu lineare la prosecuzione di quella politica, ossia priva di resistenze e pure di temporanei ripensamenti, con l'attenuante di un quadro europeo e mondiale volgente alla restaurazione liberista.
Sta di fatto che, una volta passato il Rubicone nella seconda metà degli anni settanta, le aperture di quel tipo non finirono mai, sino a condurci al presente punto d'arrivo. Un punto in cui, non casualmente, buona parte dei medesimi ceti medi si ritrova coinvolta da uguale destino, di precaria povertà inizialmente riservata agli operai, ai quali si chiesero ed imposero sacrifici in nome di una “salvezza nazionale” a cui le élites dirigenti ben presto rinunciarono.
Giorni di gloria
All'indomani del primo turno delle presidenziali francesi, Aldo Cazzullo13 non riusciva a celare la propria soddisfazione per il risultato conseguito da Emmanuel Macron. Al secondo turno, dall'esito scontato, si sarebbe vista la contesa tra l'europeista riformatore e la populista protezionista nazionalista. Ottimismo contro pessimismo: c'est plus facile!
Peccato, si potrebbe aggiungere, che nel nostro Paese non si possa godere di un analogo duello, magari tra un Renzi contrapposto ad un Salvini. Una comoda gloria, ahinoi preclusa da quel maledetto 4 dicembre.
Dalle stesse colonne, a nutrire qualche perplessità era Massimo Nava:14
«Il blocco sociale che ha ancora fiducia nell'Europa e in un progetto riformista compatibile con le regole del mercato, benché probabilmente premiato dall'aritmetica elettorale, resta ancora minoritario rispetto all'estremismo populista, al radicalismo di sinistra e all'astensionismo. Il prossimo presidente dovrà misurarsi con l'immane sfida di recuperare l'altra metà della Francia.»
Anche Franco Venturini15 aggiungerà motivi di prudente cautela:
«(...) pensare che Parigi abbia sistemato tutto sarebbe, per l'Europa l'ennesimo tentativo di suicidio: la Ue ha guadagnato tempo, ha ottenuto una prova d'appello, non ha cancellato le sue inadeguatezze.»
Far passare lo scontro in atto come una lotta tra europeisti ed anti-europeisti, come se l'Europa attuale non fosse continua fonte di diseguaglianze sociali e territoriali, minata alla sua stessa base dal classismo dei ceti più ricchi e privilegiati, assistiti dal nazionalismo di supremazia (il verme nella mela), può rassicurare solo i cantori di glorie altrui.
Eppure, a ben vedere, in Italia siamo già “avanti” e non abbiamo bisogno di altri giorni di gloria, avendone sperimentati mille, grazie al Macron italiano che si è cimentato tanto vigorosamente quanto vanamente nella “immane sfida”.
Sempre che la plurivalente vaccinazione, a cui siamo stati sottoposti, non sia stata del tutto inutile.

Note
1 Escluso nel 2015 dal secondo governo di Manuel Valls.
2 http://www.huffingtonpost.it/roberto-della-seta/il-declino-dei-socialisti-europei-e-la-sinistra-possibile_b_8861520.html
3 Per un utile confronto:
France Insoumise: https://laec.fr/sommaire.
4 Il commercio liberoscambista (free trade) è contrapposto al commercio paritario (fair trade) con gli altri Paesi, in particolare del Sud del mondo.
5 Le primarie d'area socialista e di centro-sinistra si sono svolte a doppio turno ed hanno coinvolto Partito Socialista francese, Partito radicale di Sinistra, Fronte Democratico e Partito ecologista. L'affluenza complessiva è stata simile a quella registrata dal PD alle sue primarie del 30 aprile 2017.
6 Palese il richiamo alla Marsigliese: “Allons enfants de la Patrie, Le jour de gloire est arrivé!” (Andiamo figli della Patria, Il giorno della gloria è arrivato!).
7 Motivo per cui F. A. Von Hayeck ne accettò l'adozione, in “Legge, legislazione e libertà, EST (Il Saggiatore), 2000.
Più ampiamente vedasi: http://orizzonte48.blogspot.it/2014/02/gli-oscuri-frammenti-di-un-discorso.html
8 Secondo Varoufakīs, Macron ha difeso la parte greca durante i negoziati del 2015 che precedettero l'imposizione di rinnovate misure d'austerità al popolo ellenico (terzo memorandum). Non risulta, tuttavia, che si sia mai pubblicamente esposto, né abbia disgiunto le proprie responsabilità da quelle del governo di cui era così importante ministro.
9 France Insoumise è stata tra le liste più votate nei quartieri di Parigi a più elevata presenza multietnica.
10 «Una vera catastrofe sociopolitica», così l'ha definita Marco Revelli in una intervista a Il Fatto Quotidiano, “In Francia è una tragedia, da noi sarà anche peggio”, 1/5/2017.
11 Luca Ricolfi, “Macron si sgonfierà, come si è sgonfiato Renzi”, intervista a Il Fatto Quotidiano, 1/5/2017.
12 Marco Revelli, “Populismo 2.0”, Einaudi, 2017.
13 A. Cazzullo, “Il rifiuto del declino”, Corriere della Sera, 24/4/17.
14 M. Nava, “Il fronte comune (con resa dei conti) nei partiti perdenti e la strana ipotesi di grande coalizione”, Corriere della Sera, 24/4/17.
15 F. Venturini, “Bruxelles respira (ma non basterà), Corriere della Sera, 8/5/17.

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