sabato 23 aprile 2016

Pensioni tombali

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Mentre Tito Boeri annuncia che i trentaseienni andranno in pensione (da fame) a 75 anni, c'è chi sostiene: «gli anziani sono diventati più benestanti a spese dei giovani».

Un refrain stucchevole
Continua il dibattito sulle pensioni italiane, luogo di certezze matematiche e di stress politico.
Spesso gli articoli su carta stampata e in Rete, dopo sguardi sconsolati ai conti dell'INPS, recriminazioni sul passato clientelare della prima Repubblica (tempi d'abbondanza!) e critiche alla Fornero, diventata il parafulmine delle politiche di Monti, si concludono nel solito scontato modo: gli anziani sono privilegiati a danno dei giovani.
Al refrain non si sottrae nemmeno Stefano Feltri1, confluendo nella corrente di pensiero che vede nel conflitto tra generazioni, con i vecchi a farla da padroni, la ragione della iniquità previdenziale. Sicché al lettore rimane l'impressione che la Fornero sia stata solo piuttosto maldestra (i “tecnici”, si sa, vanno per le spicce), nel perseguire una pur giusta linea politica di riequilibrio, tesa a salvaguardare i giovani togliendo agli anziani, pensionati e pensionandi.
Paradigmi di politica economica
Riposizioniamo il problema.
Le pensioni del sistema retributivo stavano in relazione sistemica con le remunerazioni del lavoro, il welfare ed il ruolo attivo dello Stato in una data economia, tra il secondo dopoguerra e la fine degli anni settanta del '900. Tenere i livelli pensionistici un po' sotto, ma non troppo, rispetto a salari e stipendi, con questi ultimi aggiornati tramite scala mobile e contratti nazionali di lavoro, serviva a corroborare i consumi, a dare sbocco alle produzioni e, complessivamente, a reggere il Pil con il connesso gettito fiscale. Nel paradigma keynesiano tout se tient.
Con le riforme liberali e l'adesione all'economia globalizzata “di mercato”, in cui lo Stato non è la soluzione ma il problema (Reagan), si ridiede vita al paradigma liberista, deregolamentando flussi di capitali, localizzazioni produttive, lavoro, dipendente ed autonomo, e quant'altro. Dulcis in fundo, in Italia il sistema pensionistico adottò il “contributivo”. E poi, tardivamente, tramite aiutini fiscali si facilitò la nascita di Fondi pensione con i Tfr (cointeressando le élites sindacali) e la sottoscrizione di pensioni integrative private. Pure in questo paradigma “tutto si doveva tenere”.
Per troppi, Sergio Cofferati compreso, l'insieme era ben congegnato. Senonché, a dispetto della perfezione in sé del modello matematico-assicurativo, il paradigma generale liberista mostrò il suo vero interno scopo. Per farla breve: i ricchi si arricchirono, i poveri sprofondarono e la middle class vide sfoltirsi di molto le sue fila. In particolare, il lavoro subì un possente attacco salariale ed occupazionale, precarizzandosi strutturalmente. Potevano le pensioni restarne fuori? Ciò che all'interno del passato paradigma era considerato “normale”, divenne in quello ad esso subentrato un “insopportabile privilegio”. Come se a ridurre giovani e lavoro in queste misere condizioni non sia il perdurante liberismo, bensì le vestigia dell'economia postbellica. Come se la insostenibilità degli esborsi pensionistici non derivasse dalla insostenibilità sociale del paradigma liberista, che ha sconfessato nei fatti ogni sua promessa di “roseo avvenire”.
Poiché il crack finanziario del 2007-2008 e la recessione ne sancirono il fiasco storico, ma non il suo superamento politico, ora si arranca alla ricerca di rattoppi.
Pezze
Tutto ciò non è accaduto in un giorno.
In itinere, i tempi di passaggio dal “retributivo” al “contributivo”, prima diluiti (riforma Dini), sono stati a più riprese accorciati, in misura però mai bastevole. Ed oggi, per non deprimere troppo i giovani assicurati, l'INPS deve supporre, nelle “buste arancioni”, un improbabile e costante aumento del Pil nazionale negli anni a venire, se vuole dare a ciascuno di essi l'idea che avrà una parvenza di pensione. Ma guai a gettare il panico sulle aspettative giovanili, svelando la verità, pure la Camusso si adombra.2
Pertanto, in occasione dell'ennesima pezza al “contributivo”, relativa ai pensionamenti anticipati, c'è chi propone di sottrarre ai già pensionati quanto serve per rimettere in sesto i bilanci dell'Istituto e del connesso debito pubblico, sollevando i giovani lavoratori odierni dal peso di pagarne le perdite3 e sempre promettendo loro future pensioni meno penalizzanti.
Domani ti pago”, alla Totò
Incuranti del fatto che, se ciò accadesse, il cane si morderebbe la coda ancora una volta, giacché la domanda interna cadrebbe ulteriormente, rafforzando il circuito vizioso deflazionistico e ne risentirebbe il malandato Pil.
È un déjà vu. Se non bastasse l'esperienza rovinosa del governo Monti, a questo proposito si veda la Grecia: tagliando le pensioni, insieme ad altre componenti del welfare, il debito pubblico, invece di rientrare, cresce. E viene messa in forse la stessa capacità di “ristoro” dei suoi arcigni creditori internazionali.
Da qui la schizofrenia che pervade il FMI, membro della Troika insediata ad Atene, ma anche coloro che da un lato invocano tagli e sacrifici e, dall'altra, visto l'esito deludente del Quantitative easing di Draghi, prospettano di “gettare soldi dall'elicottero”, guardandosi bene però dal dirci quanti, quando, dove e, soprattutto, a chi.4
Non ripeterò il già scritto in questo Blog5 sul nostro sistema pensionistico. Mi limito ad una considerazione.
Come il “retributivo” concorse a determinare il prolungamento della vita, perseverare col “contributivo” accorcerà la vita ai vecchi a tal punto che esso diverrà “sostenibile”, auto-convalidandosi. Problema contabile risolto.

1 Stefano Feltri, “I pensionati non sono la priorità”, il Fatto Economico, 20 aprile 2016. La citazione virgoletta nel sottotitolo è tratta da questo articolo.
2 Vedi dichiarazione di Susanna Camusso del 20 aprile 2016 contro gli avvertimenti di Tito Boeri, presidente dell'INPS.
3 Vigente la “ripartizione” di cassa, per cui il gettito corrente dei versamenti contributivi paga le erogazioni pensionistiche attuali.
4 Se indirizzati in modo adeguato potrebbero produrre benefico effetto, anche di ordine economico generale.
5 “Pensioni: l'equità compatibile” e “Scheda pensioni”, 06/2015.

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