sabato 23 settembre 2023

Una lettura affatto tardiva

UNA LETTURA AFFATTO TARDIVA

Note sul libro di Sahra Wagenknecht “Contro la sinistra neoliberale”,

o meglio di quella parte che tratta del “ceto medio benestante e laureato”.


Stimolato da alcune prese di posizione di Sahra Wagenknecht nel dibattito che sta attraversando la Linke tedesca, leggo il suo libro “Contro la sinistra neoliberale”.1

Benché dalla prima edizione tedesca del 2021 siano trascorsi due anni densissimi, segnati dal culmine dell'emergenza Covid e dal divampare della guerra in Ucraina, – e fors'anche per questo –, il libro mantiene una forte presa sull'attualità. In particolare su alcune questioni che agitano la sinistra europea non “alla moda” e refrattaria al neoliberalismo.

Esse riguardano non solo il cambiamento climatico, per opporsi al quale le acclamate “misure verdi” del governo federale tedesco finiscono per abbattersi sui ceti medio-poveri e più poveri. Espulsi dalla gentrificazione delle grandi città ed impossibilitati a comprare le costose auto elettriche, per spostarsi e scaldarsi sono di fatto costretti ad usare i carburanti fossili ed a doversi sentire colpevoli pur subendone i rincari.

Sono questioni che attengono, piuttosto, al modo di pensare e rapportarsi della “sinistra neoliberale”: un abito politico-culturale che veste uno specifico essere sociale.

Sotto questo profilo, il titolo italiano perde qualcosa rispetto all'originale e più diretto Die Selbstgerechten, ovvero “I presuntuosi”. Nonostante suppongano di essere dotati di qualità dialogiche “aperte” e “tolleranti”, il loro atteggiamento mentale li porta a relazionarsi in modo marcatamente “illiberale”.

In ragione della loro appartenenza sociale, per Wagenknecht i presuntuosi non possono neppure essere definiti “di sinistra”, come ritengono di essere.

«Dell’ideologia di sinistra ha sempre fatto parte l’impegno soprattutto a favore di chi è in difficoltà e si vede negare dalla società un più elevato livello di istruzione, di benessere e migliori prospettive di crescita. Il liberalismo di sinistra, invece, ha la sua base sociale nel ceto medio benestante e laureato delle grandi città.»2

Tra parentesi devo constatare che, per quanto ci si affanni a salvare alcune parole dal loro uso “improprio” o “ingannevole”, esse sono oramai condannate a camminare sulle uova del fraintendimento semantico.

Fatto sta che si è verificato in Germania un fenomeno ben conosciuto da noi, in questi anni di emergenza pandemica e di esplosione della guerra in Ucraina. Il dibattito pubblico è stato invaso dal maccartismo della caccia alle streghe. Impossibile confrontarsi al plurale.

La specificità tutta tedesca consiste nell'adozione del medesimo stile da parte sia di Alternative für Deutschland (AfD), sia di quelli che Wagenknecht chiama “liberali di sinistra”.

«Chi si discosta dal canone dei loro precetti, appare agli occhi dei liberali di sinistra non semplicemente come un individuo che la pensa in modo diverso, ma come una persona cattiva, forse persino un nemico dell’umanità o addirittura un nazi3

«Se il politico di AfD Björn Höcke vorrebbe, senza tante cerimonie, «ausschwitzen» [verbo che, letteralmente, significa ‘espellere sudando’ ma foneticamente appare come la trasformazione in verbo del nome “Auschwitz”, N.d.T.] chi la pensa diversamente, a noi viene la pelle d’oca.»4

A questo proposito, colpisce un caso, citato anche nella Prefazione da Vladimiro Giacché:

«E quando alla fine del 2019 i giovani dei Fridays for Future, riunitisi in corteo a Lausitz per richiedere l’uscita dal carbone, si sono visti i circa mille abitanti del paese, probabilmente senza eccezione individui la cui esistenza dipende proprio dalla miniera di carbone, marciare contro intonando i canti dei minatori, li hanno intenzionalmente denominati nazi del carbone.»5

Si potrebbe definire disprezzo di classe. Questo genere di epiteti sono propagati dal mainstream mediatico. Si pensi all'accusa di “negazionista”, ripreso dal tentativo di negare lo sterminio nei campi di concentramento nazisti, indifferentemente rivolta, in nome di una infalsificabile “verità scientifica”, a tutti coloro che si sono opposti alla gestione politica del Covid o sollevano dubbi sulla prevalente derivazione antropica del cambiamento climatico.

Si tratta della forma espressiva di un nuovo essere sociale. Secondo l'Autrice il suo formarsi è dovuto all'ultima globalizzazione neo-liberista, nel corso di un processo di trasformazione di cui ripercorre puntualmente le tappe, ricordandovi il ruolo politico giocato dai partiti laburista britannico, socialdemocratico tedesco e socialista francese, a promuovere quello “spontaneo” insito nei meccanismi del capitale.

Wagenknecht sostiene che quella metamorfosi nei Paesi del capitalismo avanzato, transitato al post-industriale ed alla terziarizzazione, produsse una nuova appartenenza sociale: il “ceto medio benestante e laureato”, base del “liberalismo di sinistra”.

Questo ceto poté rientrare tra i vincitori, mentre ai vinti toccò, nel contesto deregolato di internazionalizzazione delle produzioni, la perdita delle posizioni acquisite dai Cinquanta ai Settanta, accompagnata dallo smarrimento in tutta la società dei valori fondanti del precedente patto di inclusione e convivenza sociale, particolarmente importante nella storia del secondo dopoguerra tedesco.

«Tra gli ambiti in cui a partire dagli anni Ottanta è spuntato un gran numero di posti di lavoro ben remunerati per chi ha una laurea rientra l’economia finanziaria (…). Negli anni il lavoro nelle banche di investimento è diventato tra le opzioni professionali più attraenti per laureati in matematica e fisica. Una crescita ancora più veloce la registra un settore che trent’anni fa neppure esisteva: quello dei servizi digitali. (…) Altri settori che hanno visto un particolare sviluppo sono quelli dei servizi legati alle aziende come il marketing, la pubblicità, la consulenza e l’attività legale. Anche qui sono stati creati diversi nuovi posti di lavoro per laureati in materie di comunicazione, cultura e intrattenimento.»6

Il nuovo ceto si è differenziato per formazione, attività, luogo di residenza ed atteggiamento, sia dal milieu borghese e piccolo-borghese che dalla classe operaia.

Tuttavia, Wagenknecht avverte (siamo nel 2021) che, ad eccezione dell'economia digitale, sta venendo meno la diffusione delle professioni ben remunerate per i laureati.

«E più l’espansione rallenta, più grande si fa la calca per accaparrarsi i pochi posti al sole ancora rimasti.»7

Tra gli stessi laureati si crea uno strato più basso. Nasce l'assillo di come garantire il trasferimento dello status acquisito ai propri figli, da parte di un ceto medio sì benestante, ma non ricco ed in grado di perpetuarsi per via ereditaria.

«La loro arma migliore per farlo è stata il ritorno del privilegio dell’istruzione. (…) Il nuovo privilegio dell’istruzione consiste nel fatto che oggi le professioni per laureati meglio pagate nel settore dei servizi richiedono capacità e qualifiche che non si possono ottenere seguendo il normale percorso di formazione pubblica.»8

Bisogna conoscere l'inglese al livello del madrelingua e sostenere lunghi tirocini gratuiti o quasi. Inoltre, servono i giusti “contatti” con la cerchia di quelli che contano.9

Nel contesto delineato si inserisce il crescente divario tra ottime e pessime scuole,10 mentre si diffonde il ricorso alle scuole private, nonché ad una formazione post-universitaria pagata all'estero.

Comunque persiste una tendenza di più lunga durata, statisticamente rilevata nella maggioranza dei Paesi del capitalismo avanzato. Dalle professioni addette ai media ed alla politica sono stati via via esclusi o ridotto al minimo i provenienti dalle classi subordinate.11

Consapevole che ogni classe per acquisire egemonia deve valersi di una grande narrazione, Wagenknecht si inoltra nell'analisi delle due narrazioni che hanno segnato il nostro tempo: il neoliberismo ed il liberalismo di sinistra.

Per brevità, tralascio l'analisi della narrazione neoliberista, piuttosto conosciuta ed in larga parte condivisibile, e mi concentro su quella del liberalismo di sinistra.

«A prima vista, la narrazione dei liberali di sinistra è l’opposto del programma dei neoliberisti. Invece di parlare di egoismo, successo e libero mercato, ci troviamo molta solidarietà, nonché etica, responsabilità, diritti universali, tutela delle minoranze, misure contro la discriminazione e rispetto. (…)

I liberali di sinistra si vantano di essere per la diversità, per l’apertura al mondo, per la modernità, per la tutela dell’ambiente, per la liberalità e la tolleranza. Tutto ciò che, secondo costoro, sta a destra va invece combattuto: nazionalismo, nostalgia del passato, provincialismo, razzismo, sessismo, omofobia, islamofobia.

La fede, la nazione e la patria sono, per i liberali di sinistra, emblemi di arretratezza. La normalità è considerata per nulla attraente, gli standard una limitazione, l’individualità e l’autorealizzazione, invece, sono sacre. Particolare importanza, nei dibattiti dei liberali di sinistra, rivestono i problemi delle origini, del genere e dell’orientamento sessuale, che sovrastano nettamente la discussione sui problemi socioeconomici.»12

In altri termini è rigettata ogni tradizione, rubricata in toto come “passatista” e negativa.

Come visto in precedenza, i liberali si sinistra assegnano suprema importanza al linguaggio, sino a pensare di cambiare il mondo con le parole e la regolamentazione della lingua. Emerge una convinzione più profonda, “decostruzionista” sul piano filosofico:

«(…) al di là della lingua, in pratica, non esiste alcun mondo reale a cui riferirsi.»13

Impossibile stabilire una distinzione tra vero e falso.

«Se, infatti, non esiste alcuna realtà al di fuori di quella costruita linguisticamente, anche la differenza tra vero e falso viene a perdere di senso. (…) Da questa corrente di pensiero, in seguito, è nata anche la teoria gender, in cui addirittura il genere sessuale veniva decostruito come “attribuzione forzosa” della “società eteronormativa” e l’affermazione delle differenze biologiche tra uomo e donna veniva spiegata come un atto di esercizio del potere discorsivo.»14

Di conseguenza:

«Ad acquisire valore in sé non è l’uguaglianza, ma la differenziazione e la disuguaglianza tra gli individui, un valore che poi si traduce nelle quote e nella diversity.»15

Inevitabile lo scivolamento verso una politica identitaria, la quale:

«Svia l’attenzione dalle strutture sociali e dai rapporti di proprietà per puntarla su specificità individuali come l’etnia, il colore della pelle o l’orientamento sessuale.»16

Wagenknecht acutamente osserva:

«È sconcertante vedere come i sostenitori della politica identitaria non siano per niente turbati dalla tradizione in cui si collocano tali tesi. Il fatto di definire gli individui in base al colore della pelle o alle loro origini (tra cui quelle etniche) non è una novità. Fin dall’inizio, anche se nella direzione opposta, ha rappresentato il modo di procedere dell’estrema destra e dell’ideologia razzista.»17

Eppure, quali sono le reali condizioni che accomunano le classi basse?

«La cruda verità è che i figli e i nipoti di immigrati provenienti dai paesi musulmani, gli omosessuali o le donne non hanno alcun interesse comune che vada oltre la parità legale di diritti e il generale divieto di discriminazione. Il camionista omosessuale, che ogni giorno macina centinaia e centinaia di chilometri in autostrada e ha paura che il dumping dei concorrenti provenienti dall’Europa dell’Est possa costargli una volta per tutte il lavoro, vive in un mondo del tutto diverso e, ovviamente, vede anche l’Unione Europea con occhi diversi rispetto allo studente omosessuale di scienze politiche i cui genitori benestanti gli hanno pagato un tirocinio a Bruxelles.»18

In buona sintesi:

«Il liberalismo di sinistra e la sua politica identitaria, che sollecita chiunque a definire la propria identità sulla base delle proprie origini, del colore della pelle, del sesso o delle inclinazioni sessuali, non si limita però a costruire interessi comuni dove non ce ne sono. Allo stesso tempo, infatti, crea spaccature proprio laddove sarebbe urgente e necessaria la solidarietà.»19

Di fronte al fallimento dell'integrazione, l'abbandono della solidarietà si traduce nella esaltazione del multiculturalismo e nella perdita del senso di appartenenza alla comunità nazionale, esistente su un delimitato territorio e su cui poggia lo Stato sociale.

«Non esiste più, nella narrazione dei liberali di sinistra, un interesse della collettività che vada al di là della somma degli interessi di tutte queste minoranze eterogenee, anzi, ogni appello al senso di appartenenza e di comunità all’interno dei confini di un paese appare come qualcosa di reazionario e di destra20

Cosa comporti, nella narrazione dei liberali di sinistra, sentirsi cosmopoliti cittadini del mondo è oggetto nel testo di una attenta disamina che lascio alla lettura del testo. Mi limito ad osservare che i riferimenti alla situazione tedesca possono trovare una “realtà aumentata” nell'esperienza italiana e passo direttamente al capitolo 9, ossia alla questione dello Stato nazionale.

«Che sia liberismo economico o liberalismo di sinistra poco importa: sul canto del cigno dello Stato nazionale c’è grande consenso tra le correnti politiche.»21

L'Autrice ritiene, invece, che l'idea dello Stato nazionale sia erroneamente ritenuta morta e possa avere un futuro. Direi che sono bastati due anni per “resuscitarla” pienamente.

«Il fondatore del Forum per l’economia di Davos, Klaus Schwab, con la sua affermazione “Gli Stati sovrani sono diventati superflui” aveva già anticipato nel 1999 questa tendenza. Nel 2010 il Forum, cui partecipano ogni anno i ricchi e i potenti della terra, ha presentato un progetto dal titolo Global Redesign Initiative, in cui questa cerchia di eletti spiega come intendono loro la visione futura del mondo: non saranno più gli Stati nazionali o la loro organizzazione, l’ONU, a occuparsi dei problemi globali, bensì “gruppi di stakeholder”, ovvero in prima linea ci saranno le multinazionali attive a livello mondiale e le ONG da esse finanziate. Quali interessi verranno garantiti dalle soluzioni trovate risulta abbastanza facile da intuire.»22

L'obiettivo è sottrarre dall'esterno sovranità allo Stato (perciò allo Stato sociale) ed alla democrazia, senza ledere il diritto di voto, ma svuotandola di effettivo potere, per conferirlo alla competenza professionale degli stakeholders23 transnazionali, controllati dai vertici della ricchezza mondiale.

Per parte mia, aggiungerei che si trattava di “tecnocrati”, ai quali era affidata la implementazione politica delle “inoppugnabili” verità teoriche: se economico-sociali, provenienti dai think tanks universalmente “accreditati”; se fisico-biologiche, prodotte dai laboratori scientifici finanziati ed indirizzati dalle multinazionali. Caduta la credibilità dei primi, dopo le numerose sconfessioni degli anni duemila, la preferenza è accordata alle seconde.

Per il liberalismo di sinistra lo Stato nazionale non solo è obsoleto, come se vivessimo già in un mondo transnazionale, ma potenzialmente aggressivo e guerrafondaio. Sicché le strutture democratiche nazionali, rese incapaci di agire dalla globalizzazione, dovrebbero slittare in capo a quelle transnazionali, come l'Unione europea.

È facile per Wagenknecht dimostrare che, in occasione della crisi bancaria e del Covid-19, sono stati gli Stati nazionali a mobilitare centinaia di miliardi per l'economia di lorsignori, mentre rimangono l'unica istanza per correggere gli esiti del mercato.

«Non si tratta dunque dell’incapacità di agire. Il vero problema è semmai come agiscono gli Stati nazionali.»24

Giunti a questo punto e per i temi su cui è incentrata e proiettata la mia lettura (il destino del ceto medio benestante e laureato), alla validazione del discorso della Wagenknecht serve qualche considerazione “a posteriori”, approfittando del vantaggio “maieutico” concessoci dal biennio trascorso dopo la pubblicazione del suo libro.

L'impatto con la realtà ha prodotto non solo grandi falle nella narrazione del liberalismo di sinistra, ma una crescente spaccatura in seno al “ceto medio benestante e laureato”.

Prendiamo la gestione politica dell'emergenza pandemica nel nostro Paese.

Abbiamo assistito ad un doppio rovesciamento, sia dal punto di vista della libertà individuale che da quella collettiva.

Allorché il governo dello Stato ha imposto, con il pass verde, l'obbligo di assunzione di un farmaco sperimentale, la sacralità dell'individuo e della sua soggettiva libertà di autodeterminazione è venuta meno. Improvvisamente - come in guerra - persino il corpo personale è diventato disponibile e violabile, pena il confinamento nel ghetto degli irresponsabili verso l'insieme della società. Al punto di esporre agli effetti avversi i bambini, i più giovani e le donne in gravidanza, o da auspicare, per chi si era rifiutato di porgere il braccio, di essere messo per ultimo nella fila dei curabili dal servizio sanitario nazionale.

Di contro, la protezione collettiva della salute è stato demandata alla somministrazione forzata di un prodotto dei laboratori delle multinazionali. Dopo aver scientemente boicottato qualsiasi cura subito possibile per imporre l'adozione unica emergenziale dei ritrovati delle multinazionali, il governo ha spacciato per “vaccino” un farmaco che in realtà non vaccinava affatto dal contagio, impedendo infine qualsiasi verifica di riscontro sui suoi reali effetti sulla salute dei costretti a porgere il braccio.

Da decenni la sanità pubblica veniva progressivamente distrutta per “mancanza di fondi” in rispetto delle “compatibilità di bilancio”, che invece si trovarono per riempire di sovraprofitti Big Pharma. Governava un ministro della Sanità tra i più a sinistra dei liberali di sinistra.

L'impatto con la realtà ha generato una prima divaricazione in seno al ceto medio sotto osservazione, tuttavia vissuto come autodifesa più individuale che collettiva. Salvo il confluire in alcune significative manifestazioni popolari di “dissenso”, non ha così potuto raggiungere una adeguata consapevolezza e compattezza politica.

Ancora non era finito lo scontro sulla gestione politica della pandemia, che un secondo terremoto ha investito il liberalismo di sinistra: lo scoppio della guerra in Ucraina. Il riscontro di realtà demolisce certezze consolidate ed investe la stabilità degli assetti sociali.

La narrazione di un'Europa territorio di pace e democrazia, che sebbene a piccoli passi acquisiva una sua autonomia sulla scena mondiale, è andata in frantumi. L'Unione europea si è mostrata in totale balia della strategia guerrafondaia di Usa e Nato – dei suoi costi e fallimenti -, che ha preordinato il sacrificio di centinaia di migliaia di ucraini (e di russi) ai propri fini espansivi, per distruggere la Federazione russa. Alla inevitabile constatazione della “guerra persa”, si aggiunge quella della condanna del vecchio continente al declino ed alla marginalità, a partire dall'economia tedesca, ex locomotiva d'Europa.

Le principali economie dell'Europa occidentale sono state separate dalla Russia. Ora gli Stati Uniti, neo-protezionisti, vogliono disaccoppiarle anche dalla Cina, segnando la crisi definitiva della globalizzazione neoliberale contemporanea, sulla quale in precedenza avevano eretto la pretesa del proprio dominio unipolare sul mondo.

Eppure, se è vero che la globalizzazione neo-liberale aveva generato il ceto medio dei benestanti e laureati, la sua crisi segna l'inizio del suo sfaldamento.

La “calca per accaparrarsi i pochi posti al sole” diventerà una mischia.

Non si tratta più del rallentamento dell'espansione avvertito prima dell'ultimo biennio. Ora incombe la “desertificazione produttiva”, causata da un lato dagli elevati costi energetici e, dall'altra, dalle politiche fiscali degli Stati Uniti, attrattive degli investimenti sul proprio territorio o nell'immediato intorno.

È contraddetta alla radice l'idea di una seconda fase del post-industriale,25 riservata al primo mondo (G7), ancora basata sulla obsoleta divisione internazionale del lavoro e sulla partecipazione a posizioni al vertice delle catene del valore.

Dovendo salire su un nuovo tornante della storia, si dovrà recuperare lo Stato nazionale, la cui sovranità diventa fattore necessario al dialogo con il multilateralismo emergente su scala mondiale, che lo presuppone. Dall'esercizio di sovranità nazionale dipenderà la fuoriuscita dalla terziarizzazione estrema e la ripresa sia del manifatturiero, sia dello Stato sociale nelle sue articolazioni più importanti. Da questi riassetti deriverà l'insieme dell'occupazione e, al suo interno, la dislocazione delle componenti della classe media.

Pensandosi “al sicuro”, la parte più alta del benestante ceto medio ha già fatto la sua scelta, allineata al grande capitale finanziario, agli indirizzi delle oligarchie dominanti l'Occidente collettivo ed alla pretesa di un mondo unipolare.

La sua parte destinata in maggioranza a venire declassificata, è frastornata, ancora assoggettata alla vecchia narrazione, e fatica ad associare se stessa ai perdenti della nuova metamorfosi in corso, che vengono ad aggiungersi a quelli della trascorsa. Crede ancora di vivere nel migliore dei mondi possibili e che, in fondo, sia meglio “stare con l'America che con la Russia”, come se questa fosse la reale scelta da compiere. A differenza della condizione sociale, l'orientamento politico non ha un destino assegnato.


NOTE

1 Sahra Wagenknecht, “Contro la sinistra neoliberale”, Fazi Editore, 2022 (2021).

2 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (p.20). Edizione del Kindle.

3 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (p.41). Edizione del Kindle.

4 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (p.19). Edizione del Kindle.

5 Wagenknecht, Sahra. Ibidem, (pp.42-43). Edizione del Kindle.

6 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (pp.100-101). Edizione del Kindle.

7 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (p.108). Edizione del Kindle.

8 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (pp.110-111). Edizione del Kindle.

9 Per la Germania forse è una novità, ma non per l'Italia, dove la “meritocrazia” non ha mai preso realmente il sopravvento. Sui meccanismi di selezione meritocratica in sé noto un limite critico dell'Autrice, proprio nel momento in cui svela come quelli tradizionali siano superati.

10 In Italia sempre più dislocate secondo gentrificazione.

11 Al fenomeno ha fortemente contribuito lo scioglimento dei partiti tradizionali di sinistra.

12 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (pp. 124-125). Edizione del Kindle.

13 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (p. 125). Edizione del Kindle.

14 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (p. 129). Edizione del Kindle.

15 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (p. 132). Edizione del Kindle.

16 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (p. 133). Edizione del Kindle.

17 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (p. 134). Edizione del Kindle.

18 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (p. 142). Edizione del Kindle.

19 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (p. 143). Edizione del Kindle.

20 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (p. 156). Edizione del Kindle.

21 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (p. 284). Edizione del Kindle.

22 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (p. 284). Edizione del Kindle.

23 Wikipedia: stakeholders o portatore di interesse, genericamente qualsiasi soggetto o gruppo coinvolto in una qualsiasi iniziativa economica.

24 Wagenknecht, Sahra. Ibidem (p. 289). Edizione del Kindle.

25 Pensata nelle due versioni: quella trans-umana di Klaus Schwab (“La quarta rivoluzione industriale”, Franco Angeli, 2016) e quella neo-umanista, proposta in Italia dal compianto prof. Domenico De Masi (“Smart working”, Marsilio, 2020). 

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