lunedì 1 aprile 2019

Una chance per la sinistra francese

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Elezioni europee. Mentre in Italia proliferano le liste di centro-sinistra e di sinistra “eurocredenti”, in Francia la gauche “euroscettica” discute su come uscire dal cul-de-sac dell'Unione, approfondendo temi e prefigurando strategie.
Nella sinistra italiana fervono i preparativi.
A gennaio Carlo Calenda aveva lanciato l'idea, con il suo manifesto Siamo Europei!, di una lista unitaria europeista antisovranista.1
Gli iniziali entusiasmi sono stati spenti dalla semplice considerazione che il “listone” non conveniva, dato il sistema elettorale europeo proporzionale. Molto più utile la presentazione di più liste “eurocredenti”. Eccone l'elenco provvisorio:
  • una prima lista, +Europa in Comune, sarebbe composta da: +Europa di Emma Bonino e Benedetto della Vedova, che avevano declinato da subito l'invito di Calenda; Italia in Comune di Federico Pizzarotti; i “prodiani” del deputato Serse Soverini;
  • il neo-segretario Nicola Zingaretti presenta il simbolo PD-Siamo europei con Calenda e lavora ad una lista con gli ex fuoriusciti guidati da Roberto Speranza (Articolo 1 – LeU), volendo stare in Europa in un fronte ampio “da Macron a Tsipras”;
  • una terza lista, Sinistra europea, potrebbe essere il risultato della convergenza tra Sinistra Italiana di Nicola Fratoianni e quel che rimane di Rifondazione Comunista, con l'eventuale adesione dei Verdi di Angelo Bonelli, “traditi” dal voltafaccia di Pizzarotti col quale avevano raggiunto una precedente intesa.
Qualora, come traspare, anche DiEm25 di Yanis Varoufakis si presentasse “in proprio” in Italia, avremo 4 liste di centro-sinistra, tutte interessate a riformare l'Unione preservandone le attuali strutture portanti, accomunate dall'avversione al “sovranismo ed al populismo”.
In questo fronte non si riconoscono i promotori del Manifesto per la sovranità costituzionale,2 presentato il 9 di marzo al Teatro dei Servi a Roma, col quale si vuole dare vita ad una nuova formazione politica non limitata alla questione europea.
Introdotto da un articolo in prima di Frédéric Lordon (“Uscire dall'impasse europea”), il Dossier nelle pagine interne del mensile francese, contiene articoli di Antoine Schwartz (“L'euro, venti anni dopo”), Thomas Guénole di France insoumise (“Di fronte a Bruxelles, la scommessa della non sottomissione”) e Yanis Varoufakis del Movimento per la democrazia in Europa 2025 (“Verso una primavera elettorale”).
Tutto ciò accade mentre oltralpe ferve una discussione nella sinistra francese, riportata da Le Monde diplomatique (in versione italiana è uscito come supplemento mensile del quotidiano il Manifesto), con un dossier sull'Unione europea “da rifare”.
Dalle pagine di Le MondeDiplo [vedi nella finestra sopra] emerge un dibattito incentrato sulla impasse in cui versa l'Unione, ben chiarita dalla ricostruzione di Antoine Schwartz, ed oggetto di un'analisi di Frédéric Lordon, latore di una proposta per superarla. Il Dossier non trascura di riportare la posizione di Yanis Varoufakis, in un contesto caratterizzato dalla presenza preponderante nella sinistra di France insoumise, della cui strategia verso l'Ue rende conto Thomas Guénoble.
Partire dal dibattito nella sinistra francese sui destini dell'Unione europea, mi pare utile per comprendere le differenze con la situazione italiana, di cui mi occuperò nel prossimo Post.
La classe istruita
Può far sorridere che, giustappunto da un proprio supplemento, provenga una così pungente critica all'atteggiamento del quotidiano (il Manifesto) che lo contiene in edizione italiana.
Dalla prima scrive Frédéric Lordon:3
«In effetti, c'è tutta una parte dell'opinione pubblica di sinistra che, pur disapprovando, a volte con veemenza, il contenuto specifico delle politiche europee e i conseguenti vincoli sulla condotta delle politiche nazionali, non accetta l'idea generale, e coerente, di rompere con l'euro. Questi individui non fanno che pontificare contro “l'Europa dell'austerity”, ma non appena si propone loro di uscirne rispondono “assolutamente no!”. Finché tale impasse rimarrà irrisolta, la sinistra non riuscirà mai ad andare al governo.»
Lordon non è affatto tenero con la borghesia istruita di sinistra che «si ritiene la punta avanzata della razionalità all'interno della società, mentre di fatto costituisce il suo elemento più incoerente: in preda più di ogni altra alla paura, sublima i suoi timori in un umanesimo europeista e in posizioni internazionaliste astratte che le consentono, o almeno così crede, di ergersi a piedistallo morale – qualunque sia il prezzo economico e sociale (pagato da altri). Questa compagine continua a cercare nell'”euro democratico” e nel suo “parlamento” una soluzione irrealistica alle proprie contraddizioni interne.»
Vista in controluce, piuttosto chiara è la critica rivolta alle posizioni di Yanis Varoufakis.
Poiché, constata Lordon, dall'impasse non si esce facendo a meno dei voti influenzati dalla borghesia istruita di sinistra, bisognerà arrivare ad un accordo.
In cambio del riconoscimento alle classi popolari dell'uscita dal sistema euro, essa dovrà ottenere:
«La promessa di una sorta di “nuovo progetto europeo”, al quale bisogna dare la consistenza di una prospettiva storica.» Una prospettiva di ordine culturale e politico, in cui sia possibile «avvicinare i popoli europei gli uni agli altri in tutt'altro modo rispetto a quello dell'economia.»
Trascuro il dettaglio, pur importante, della proposta e passo alla conclusione:
«è sicuramente possibile spiegare ai più preoccupati che, se persistere sulla via dell'euro sarebbe la tomba di ogni speranza di sinistra, l'idea di una comunità politica europea non dovrà necessariamente uscire di scena, ma potrà anzi essere salvata. A condizione che le si forniscano le sue condizioni di possibilità storica, a coronamento di un lungo avvicinamento, ma questa volta davvero “sempre più stretto”, tra i popoli del continente, avvicinamento a cui il “nuovo progetto europeo”, disintossicato dal veleno liberista dell'unione attuale, darà finalmente il suo tempo, i suoi mezzi e la sua opportunità.»


«La vittoria del fascismo fu praticamente resa inevitabile dall'ostruzione dei liberali ad ogni riforma che comportasse pianificazione, regolazione, o controllo.»



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In Contromovimento
Giunti a questo punto, osservo:
  • in Italia come in Francia, ciò che tiene ancorata la borghesia istruita di sinistra all'euro non è meramente una “aspirazione ideale”, bensì la retrostante convinzione “materiale” che la perdita della moneta unica equivalga alla perdita di potere d'acquisto dei propri alti redditi, nonché di valore (espresso in euro) delle proprietà mobili ed immobili;
  • in Italia la convinzione della borghesia di sinistra istruita è assai diffusa anche presso gli istruiti che definire “borghesi” sarebbe improprio, in particolare quando appartengono agli strati medio e medio-bassi della middle class di reddito-consumo (anche da lavoro dipendente qualificato) di cui tutte le statistiche, immancabilmente, rilevano il declino;
  • nel nostro Paese, mercé la crisi e la forte disoccupazione, nonché una certa radicata cultura del risparmio, per le famiglie appena sopra la soglia della povertà “mettere qualcosa da parte” è diventato un obbligo morale; al momento, la paura della perdita di valore della moneta prevale sulla spinta a riguadagnare quanto è stato perso in vent'anni di euro;4
  • non è altrimenti spiegabile la prevalente opinione in ambito nazionale, risultante da una indagine d'opinione della Commissione Ue,5 per cui, a fronte di un giudizio complessivamente “non entusiasta” sull'Eurozona, permanga un giudizio positivo sull'euro.
Se ne desume che il rigetto dell'attuale Unione europea sia frutto di un Contromovimento della società in sua autodifesa. Una autodifesa che attiene alle conseguenze devastatrici delle politiche europee, piuttosto che alla lucida individuazione delle strutture e dei meccanismi originati da tali politiche.
Ciò nonostante essa, ovunque in Europa, mostra una certa resistenza al quotidiano martellamento fazioso dei maggiori media tradizionali (quotidiani e televisioni), dai quali trasuda un malcelato disprezzo delle élites intellettuali verso i popoli, soprattutto in occasione di “inquietanti fenomeni” come la Brexit, il movimento dei giubbotti gialli o il successo elettorale del M5S. Fenomeni di cui non riescono a capacitarsi, perché in preda al proprio ”essere sociale che fa la coscienza”.
Nel magma convulso di questo Contromovimento dipende da come e da quali forze verrà gestito il “momento Polanyi”,6 non a caso evocato da Stefano Fassina nel presentare alla stampa il “Manifesto per la sovranità costituzionale”, se si potrà o meno aprire la prospettiva di un effettivo e stabile avvicinamento tra i popoli europei.
In Francia, grazie alla forte presenza di France insoumise, la discussione può ancora vertere sui destini della sinistra, mentre in Italia la situazione è diversa, perché la sinistra si è infilata al completo nel cul-de-sac dell'Unione, a tal punto da aver perso i propri connotati novecenteschi, di rappresentare le “classi subalterne” ed i loro interessi.
Frédéric Lordon
L'impasse
Prima di avanzare la proposta di scambio alla classe borghese istruita, Lordon riassume lucidamente in tre punti l'impasse europea.
Poiché (punto 1) i trattati hanno sottratto alle deliberazioni delle assemblee elettive alcune essenziali politiche pubbliche, rendendo straordinaria la procedura democratica per riappropriarsene:
«2. Un progetto che volesse rendere l'Europa davvero democratica dovrebbe proporre una revisione dei trattati che istituisca un vero parlamento, a cui sia restituita l'integrità dei campi decisionali attualmente fuori dalla portata di qualsiasi nuova deliberazione sovrana.»
«3. Purtroppo, allo stato delle cose, a una simile revisione si opporrebbe quantomeno il rifiuto categorico della Germania. La Germania, infatti, ha posto come condizione della sua partecipazione all'euro la difesa della propria ortodossia all'interno dei trattati. Se fosse messa in minoranza proprio su questo, preferirebbe l'integrità dei suoi principi alla permanenza nell'Unione.»
Pertanto, qualsiasi fantasia sull'euro democratico e sulla democratizzazione dell'Unione che riveda i trattati, si scontra inevitabilmente con la dura realtà della posizione tedesca.
Una presa d'atto a cui Yanis Varoufakis mostra di non voler aderire. Nel suo intervento, “Verso una primavera elettorale”, sostiene che la vita della maggioranza dei cittadini può venire migliorata nel quadro delle regole esistenti e «poco importa che l'Unione sia riformabile o meno. Ciò che conta è presentare proposte concrete su quello che intendiamo fare delle istituzioni europee.» Proposte contenute nel “New Deal per l'Europa” di cui il suo Movimento per la democrazia in Europa 2025 (DiEm25) si è fatto portatore in vista delle prossime europee.
Varoufakis lancia «un messaggio all'establishment autoritario europeo: vi resisteremo attraverso un programma radicale più sofisticato del vostro sul piano tecnico.»
Ma contrapporsi all'establishment attraverso la radicalità tecnicamente sofisticata di un programma riformatore, rivela la stessa attitudine del farmacista che presume, dosando abilmente gli ingredienti di una pozione, di superare la diagnosi del medico sulla reale natura della malattia.
Ciò non bastasse, per smarcarsi da coloro che gli chiedono perché DiEm25 non si allei con France insoumise di Jean-Luc Mélenchon e, in Germania, con il movimento Aufstehen di Sahra Wagenknecht ed Oskar Lafontaine, l'ex ministro delle Finanze greco ricorre ad un argomento, a suo dire, dirimente.
Yanis Varoufakis
La priorità assoluta
Per l'ex ministro delle Finanze greco, con le suddette forze l'unità della sinistra non è possibile, poiché non aderiscono ad un “umanesimo radicale, razionale ed internazionalista”.
La prova della “non adesione” era stata premessa sin dalle righe iniziali:
«Negli ultimi anni è successa una cosa singolare: molti cittadini di sinistra sono stati spinti a pensare che le frontiere aperte siano nocive per la classe operaia. “Non sono mai stato a favore della libertà di stabilimento”, ha dichiarato più volte Jean-Luc Mélenchon (La France insoumise). Intervenendo al parlamento europeo nel luglio del 2016 sulla questione dei lavoratori distaccati, ha dichiarato che ogni volta che uno di questi arriva “ruba il pane ai lavoratori che si trovano sul posto”. In seguito si è pentito di queste affermazioni, ma la sua analisi degli effetti delle migrazioni sui salari domestici non è cambiata.»
Benché la frase sul “pane rubato” di Mélenchon sia oltremodo inaccettabile, l'analisi degli effetti delle delocalizzazioni e delle migrazioni sui salari domestici è ineccepibile e spiega uno dei motivi reali (non il solo) per cui l'establishment europeo vi sia così tenacemente affezionato: contrapponendo i lavoratori residenti ai lavoratori impiegati negli stabilimenti traslocati ed agli immigrati, si massimizza il monte profitti del capitalismo finanziario che lo sorregge.
Un dato di fatto ineludibile, anche ricorrendo a Lenin (!), il quale nel 1913 giustamente accusava di sciovinismo7 quei socialisti nord-americani che volevano imporre delle “restrizioni” all'immigrazione negli Stati Uniti. I quali - per inciso, siamo agli inizi del Novecento - non possono venire paragonati ai Paesi europei, dell'Unione o desiderosi di entrarvi, dei primi due decenni del Duemila.
La priorità di Varoufakis rivela un approccio generale che pretende di estrapolare la questione migratoria odierna dal contesto della globalizzazione contemporanea, per anteporla ad ogni altra considerazione, in quanto “questione umana” posta a fondamento di un ”umanesimo radicale, razionale ed internazionalista”. Sicché le altre “questioni umane” derivanti da guerra, sfruttamento, povertà e disuguaglianze globali, passerebbero in subordine, a prescindere dall'insieme sistemico che continuamente le genera. Sarebbero meno umane, meno radicali, meno razionali e, va da sé, contrarie all'internazionalismo.
In virtù della assoluta priorità data alla questione migratoria, in quanto “più umana”, di conseguenza, le frontiere aperte sono cosa buona e giusta.
Poco importa che esse permettano un esercito di riserva sempre rinfoltito e disponibile alla bisogna, mercifichino ai più bassi livelli il lavoro salariato ed ogni bene comune, in quanto strutturalmente connesse alla circolazione transnazionale di capitali e merci, segnando il tempo del predominio della finanza e delle sue logiche a detrimento dei diritti sociali, della sovranità democratica e dell'indipendenza delle nazioni. Si dà il caso che, imponendo le migrazioni, il capitalismo finanziarizzato ottenga due concorrenti risultati a proprio tornaconto: espellere dai Paesi depredati delle loro risorse i poveri “in sovrappiù” e reimpiegarli nei Paesi ricchi in condizioni di super-sfruttamento.
L'accoglienza è pura retorica moralistica, quando non è accompagnata da effettive politiche di integrazione, le quali richiedono innanzitutto un ripristino del welfare dello Stato, continuamente rimaneggiato ed osteggiato, per “superiori necessità di bilancio”, proprio da coloro che vogliono le frontiere aperte.
Meno ancora può importare che l'Unione europea sia la realizzazione su scala continentale, secondo i dettami dell'ordo-liberismo, della globalizzazione finanziaria. Forse Lenin meriterebbe di essere letto per intero, così l'internazionalismo socialista non verrebbe, alla spicciolata, confuso con quello imperialista...
Forse la questione migratoria andrebbe vista non all'esterno, bensì all'interno di una complessiva “analisi concreta della situazione concreta” (Lenin).
Concretezza analitica sull'Unione europea alla quale Yanis Varoufakis crede di sfuggire, estrapolando e distorcendo un problema per giustificare le proprie fantasie di sofisticato riformatore tecnico.
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Trasformazioni ecologiche e sociali ritenute indispensabili per un trattato di rifondazione dell'Unione europea

«La transizione del nostro sistema economico ed energetico deve essere pianificata e resa obbligatoria. La politica agricola comune deve passare da un'agricoltura produttivistica a un'agricoltura ecologicamente responsabile, basata su un sistema di quote. È necessario istituire un protezionismo solidale europeo, vale a dire proporre alle altre potenze economiche nuovi trattati di commercio equo e tassare le importazioni in funzione di specifiche condizioni economiche, sociali ed ecologiche di produzione e trasporto.
Bisogna abolire il vincolo dell'austerity in tema di bilancio e mettere in primo piano l'armonizzazione fiscale e sociale verso l'alto di tutta l'Unione. La politica di privatizzazione forzata dei servizi pubblici finalizzata alla loro trasformazione in mercati oligopolistici deve cessare e gli Stati membri devono poter rinazionalizzare i settori su cui è già intervenuta. Serve una moratoria sul pagamento dei debiti pubblici, al fine di valutare la quota di “debito odioso” attraverso degli audit civici. L'indipendenza della Banca centrale europea (Bce) dai governi deve essere abolita e le sue priorità in materia di politica monetaria devono diventare la piena occupazione, la transizione ecologica e l'acquisto dei debiti degli Stati membri. Infine, per disciplinare il sistema finanziario, devono essere introdotte la tassazione delle transazioni finanziarie (Tobin tax) e una rigorosa separazione tra banche d'affari e banche di risparmio.»
Indomiti disobbedienti
Questa polemica nella sinistra europea è tutt'uno con la necessità di “non sottomettersi” a Bruxelles, di cui si fa carico France insoumise.
Per il suo principale candidato, Thomas Guénolé, poiché la «Unione europea non è un super-Stato la cui volontà s'imporrebbe inesorabilmente sugli Stati membri», disobbedire è legale. «Questa possibilità è chiamata opting-out.(...) Questa clausola può essere attivata da uno Stato membro anche senza negoziazione.» Come nel caso della Svezia, la quale, nel 2003 a seguito di un referendum che ha detto no all'euro, ha deciso un opting-out senza negoziazione.
Si tratta, per Guénolé, di un modo diverso di disobbedire da quello, più brutale, della Germania la quale, avvalendosi del «proprio status di grande potenza», si sottrae alle sanzioni previste dal regolamento europeo per il Paese che registri un avanzo sulle partite correnti superiore al 6%.
«La nostra strategia di non sottomissione è una strategia diplomatica che considera come interlocutori principali e i governi degli altri Stati membri. (…) Questa strategia, per tener conto di tutti i casi possibili, deve dunque prendere la forma di un canovaccio a episodi.»
Quando le urne permetteranno in Francia un nuovo governo, esso «proporrà allora agli altri Stati membri di adottare, in sostituzione dei trattati vigenti, un trattato di rifondazione dell'Unione europea. Questa proposta includerà le trasformazioni ecologiche e sociali che riteniamo indispensabili.» [Su queste trasformazioni, proposte da France insoumise, vedi estratto nella finestra sopra.]
«Nell'attesa dell'esito della negoziazione, la Francia disobbedirà a tutte le regole che impediscono l'applicazione del nostro programma, “Il Futuro in comune”.8 Si tratterà quindi di un opting out unilaterale e temporaneo.»
Giunti a quel punto si prospetterebbero 3 soluzioni:
  1. l'adozione di un trattato di rifondazione;
  2. un accordo per un opting out collettivo di tutti i Paesi favorevoli alla proposta francese;
  3. la porta chiusa della Germania che si assumerebbe «la responsabilità di innescare un meccanismo che porterebbe la Francia e i suoi alleati a uscire dai trattati per fondare una nuova costruzione europea che possa applicare il progetto politico che abbiamo descritto – allargata, se necessario, a paesi europei che attualmente non fanno parte dell'Unione e ad alcuni Stati della sponda meridionale del Mediterraneo.»
Come si evince da questa sintesi, per ottenere un accordo soddisfacente, bisogna disporre di una soluzione di forza “alternativa”. Data la posizione della Germania, Guénoble ritiene, delle 3 possibili, molto probabile la seconda soluzione.
A proposito di Germania
A dar retta ai sondaggi pre-elettorali i Verdi tedeschi riscuoteranno un notevole successo alle prossime elezioni europee. Essi sono visti in alternativa ai due maggiori partiti che hanno governato e governano dall'ultimo dopoguerra la Repubblica Federale, la CDU-CSU di Angela Merkel e la SPD di Martin Schulz, verso i quali è cresciuto il malcontento.
In attesa del responso delle urne di maggio, da cui potrebbero venire premiati, va sottolineata l'ambiguità della loro posizione.
Nel 2012, intervistato da Paolo Valentino,9 Joschka Fischer, ministro verde degli affari esteri e vice-cancelliere nel governo di Gerhard Schröder dal 1998 al 2005, si disse piuttosto preoccupato dal prevalere della strategia della «austerità in una fase di crisi finanziaria [che] porta solo alla depressione». Una strategia europea dimentica degli insegnamenti della crisi del 1929, approfondita dalle politiche deflattive di Herbert Hoover negli Stati Uniti e del cancelliere Heinrich Brüning in Germania.
Aggiungeva: « Sfortunatamente, sembra che i primi a dimenticarlo siamo proprio noi tedeschi.»
Da questa convinzione derivava:
«Per due volte, nel XX secolo, la Germania con mezzi militari ha distrutto se stessa e l'ordine europeo. Poi ha convinto l'Occidente di averne tratto le giuste lezioni: solo abbracciando pienamente l'integrazione d'Europa, abbiamo conquistato il consenso alla nostra riunificazione. Sarebbe una tragica ironia se la Germania unita, con mezzi pacifici e le migliori intenzioni, causasse la distruzione dell'ordine europeo per la terza volta. Eppure il rischio è proprio questo.»
Dal 2012 ad oggi la strategia della Germania non è mutata, al contrario ha contribuito “con mezzi pacifici” al processo di disintegrazione dell'Europa, usando il sistema euro a proprio spropositato vantaggio, sempre “con le migliori intenzioni”, natürlich. Sistema a moneta unica al quale aveva aderito di malavoglia, dovendo rinunciare al marco, pur di ottenere dal presidente francese François Mitterand il nulla osta alla propria riunificazione lampo.
Sapranno i Grünen tener conto di questo monito?
E se anche ciò avvenisse, c'è ancora qualcuno disposto a credere che i Verdi tedeschi possano prevalere sulle altre forze politiche nazionali nel determinare le scelte del loro Paese?

Note:
1 https://www.democratica.com/focus/manifesto-siamo-europei-calenda/.
2 https://www.huffingtonpost.it/stefano-fassina/perche-il-manifesto-per-la-sovranita-costituzionale_a_23664881/.
3 Il sociologo filosofo ed economista francese Frédéric Lordon insegna alla “école des Hautes Etudes en Sciences Sociales” a Parigi. Membro degli “Economiste atterrés”, è autore del libro “La Malfaçon – Monnai européenne et soveraineté démocratique”, Les liens qui libérent, 2014.
4 In “Con i soldi degli altri. Il capitalismo per procura contro l'economia”, Einaudi 2009, Luciano Gallino calcola che, in 20 anni di euro, il trasferimento dal monte retribuzioni dei lavoratori dipendenti ai profitti ed alle rendite è stato di circa 8 punti di Pil.
5 Il 57% degli italiani, pur restando i meno entusiasti in Europa di appartenere alla Zona euro, ritiene l'euro una “buona cosa”. È il risultato di un sondaggio, dello scorso ottobre, realizzato da “Eurobarometro” per la Commissione Ue.
6 Per “momento Polanyi” s'intende quel passaggio, analizzato agli inizi degli anni quaranta del '900 dallo studioso Karl Polanyi, per cui al movimento della finanziarizzazione segue il rigetto (il Contromovimento) dell'insieme sociale che non ne accetta le devastanti conseguenze.
7 Nazionalismo esclusivo ed esaltato, che si esprime in un’aprioristica negazione dei valori e dei diritti degli altri popoli e nazioni. Dal francese chauvinisme.
8 https://franceinsoumiseinfo.wordpress.com/programmi/laec/.
9 Paolo Valentino, “La Germania non affondi l'Europa. Sarebbe la terza volta in cent'anni”, il Corriere della Sera, 26 maggio 2012.

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