giovedì 19 ottobre 2017

Il pollo di Renzi

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Non si stratta dei polli di Renzo dei Promessi sposi, ma di un pollo, quello reso celebre dalla poesia di Trilussa “La statistica”.

Esultanze. Siamo a fine agosto. Commentando i dati Istat, che registrano 918.000 occupati in più da febbraio 2014, Matteo Renzi twitta esultante:
«Il milione di posti di lavoro lo fa il #JobAct, adesso #avanti.»
In contemporanea, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, commenta:
«I dati Istat di oggi [ndr di luglio] segnalano il superamento della soglia dei 23 milioni di occupati: un altro passo nella giusta direzione, che ci avvicina ai livelli pre-crisi.»
A settembre, poiché le previsioni di crescita del Pil si attestano, per il biennio 2017-2018, su +1,5%, il ministro dell'Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, prospetta un conseguente aumento dell'occupazione.
Il 2 ottobre l'Istat conferma:
«Ad agosto 2017 la stima degli occupati continua a crescere (+0,2% rispetto a luglio, pari a +36 mila), confermando la persistenza della tendenza positiva già osservata negli ultimi mesi. Il tasso di occupazione sale al 58,2% (+0,1 punti percentuali).»
Mentre Berlusconi aveva solo promesso nel “contratto con gli italiani” firmato in diretta da Vespa, a maggio 2001, “la creazione di almeno 1 milione e mezzo di posti di lavoro”, il PD di Renzi si avvia a realizzarli in concreto.
Tuttavia, nel frattempo, è sopravvenuta la grande crisi e la disoccupazione ha raggiunto livelli allarmanti. Si potrà dire sia che più in basso di così non potevamo andare, sia che il compito di creare occupazione era reso oltremodo difficile dal crollo economico generale.
In questi termini, del tipo “bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto”, la discussione perderebbe di vista altri più importanti aspetti.
Nel concreto. In primo luogo guardiamo alla popolazione in età lavorativa. Dal 2008, anno del crack, essa, con l'arrivo degli immigrati, è aumentata, sicché il tasso di occupazione1 attestato al 58,2% in agosto, è minore rispetto a quello di 9 anni fa (58,9%).
Vanno poi considerati i sottoccupati. Secondo la Fondazione Di Vittorio (Cgil) nel 2008 avevamo 3,42 milioni di contratti part time, dei quali 2,03 volontari e 1,39 involontari. Nel 2017, su un totale di 4,33 milioni di lavoratori a part time, gli involontari sono saliti a 2,62 milioni, allargando la forbice rispetto ai volontari. La stessa Fondazione ci dice che:
«L’aumento del numero dei precari sommato al part time involontario produce una cifra record di oltre 4,5 milioni di persone che svolgono un’attività che non hanno scelto e che non vorrebbero.»2
Qualora, secondo gli avvertimenti della Banca Centrale Europea, si calcolassero anche i sottoccupati e gli inattivi disponibili, in Italia a fine 2016 avremmo avuto un tasso di disoccupazione non dell'11,8%, bensì del 23,8%.
A fare da più sicuro riferimento ci sono le statistiche sulle ore lavorate. Nel secondo trimestre del 2008 conteggiavamo 11,6 miliardi di ore, mentre nello stesso trimestre del 2017 siamo a 10,9 miliardi, per uno scarto di -5,8%.
L'inghippo. A spiegare l'arcano è la semplice lettura di come l'Istat calcola l'occupazione, con l'aiuto del suo Glossario.
Tra le persone di 15 anni e più che figurano occupate vengono computati coloro che “nella settimana di riferimento”,3 “hanno svolto almeno un'ora di lavoro in una qualsiasi attività” retribuita, oppure non retribuita se “nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente”. Chi è temporaneamente assente per ferie, malattia o altro risulta ovviamente occupato.
Viceversa sono considerate disoccupate le persone, tra i 15 ed i 74 anni, che “hanno effettuato almeno un'azione attiva di ricerca dei lavoro nelle quattro settimane che precedono la settimana di riferimento”, sono disponibili a lavorare o inizieranno un lavoro anche autonomo entro un dato periodo. Agli inattivi appartengono tutti coloro che non sono né occupati né disoccupati.
Definire occupata una persona che svolge 1 ora di lavoro nella “settimana di riferimento” contraddice non solo il senso comune: è una palese forzatura. E poco importa che l'Istat si sia adeguato ai criteri di rilevazione dell'Organizzazione internazionale del lavoro.
Il pollo. Poetava Trilussa:
Me spiego: da li conti che se fanno
seconno le statistiche d'adesso
risurta che te tocca un pollo all'anno:
e, se nun entra nelle spese tue,
t'entra ne la statistica lo stesso
perch'è c'è un antro che ne magna due.
Ecco, basta dire che 1 ora di lavoro a settimana equivale ad 1 occupato e la statistica dà ragione a Renzi.
Note:
1 Rapporto tra gli occupati e la corrispondente popolazione di riferimento.
2 http://www.fondazionedivittorio.it/it/record-dei-contratti-tempo-determinato-occupati-livello-del-2008-ma-molte-meno-ore-lavorate-crescita
3 Settimana a cui fanno riferimento le informazioni raccolte dall'Istat.

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