sabato 3 dicembre 2016

Comunque vada

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Potestà cedute
Roberto Scarpinato, attuale procuratore generale presso la Corte d'Appello di Palermo, il 22 novembre scorso in un seminario [vedi riquadro in fondo] sulla riforma costituzionale, ha mostrato una bella lucidità.
Dalla sua critica non emerge solo una circostanziata ricostruzione dei complicati meccanismi tecnico-giuridici, attraverso i quali la riforma Boschi peggiora democrazia e rappresentanza. Egli svela la finalità politica non dichiarata ed indicibile che sostanzia il “combinato disposto” (riforma costituzionale + legge elettorale Italicum).
Portando in chiaro innumerevoli fatti, Scarpinato dimostra che non è certo la Costituzione ad impedire l'efficienza dell'azione di governo contro il ristagno economico, il declino industriale ed il regresso sociale. E si chiede:
«Quali sono dunque le reali cause che ostacolano la governabilità nel nuovo scenario macro politico e macroeconomico venutosi a creare nella Seconda Repubblica per fattori nazionali ed internazionali verificatisi dalla seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso?»
La risposta è netta: la rinuncia ad alcune prerogative essenziali per l'esercizio di sovranità.
Con i trattati europei firmati dal 1992 in poi, tre potestà essenziali, monetaria valutaria e di bilancio, non sono più nella disponibilità nazionale. Sono state delocalizzate, cedute a Commissione europea, Bce (e Fondo monetario internazionale), organi privi di legittimazione democratica, disconnessi dalla sovranità popolare ma fortemente connessi ai grandi centri di potere economico-finanziario. Pertanto, l'esecutivo non dispone delle indispensabili leve per governare la politica economica del Paese.
Invece di trarre ispirazione dalla Costituzione del 1948 per riprendere vitalità democratica e rappresentativa, la scelta di revisione va nella direzione esattamente opposta, quella voluta dai “mercati finanziari”.
Illuminante il riferimento1 alla relazione che accompagna il disegno di riforma costituzionale, laddove afferma esplicitamente che essa risolverà i problemi del Paese, rimediando
«l'esigenza di adeguare l'ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea e alle relative stringenti regole di bilancio».
Seguendo il ragionamento di Scarpinato possiamo arrivare ad ulteriori considerazioni circa il nostro prossimo futuro.
Scelte inevitabili
Secondo Scarpinato, l'arretramento istituzionale consentirebbe a ristrette cerchie di consolidare un regime oligarchico paragonabile a quello vigente agli inizi dello scorso secolo. Con tutta evidenza, tuttavia, non si tratterebbe di un “ricorso storico”, secondo la celebre teoria di Giambattista Vico, bensì di un corso inedito e persino peggiorativo. Rispetto a quel periodo interviene una decisiva differenza: la subalternità nazionale a poteri oligarchici sovranazionali.
Comunque vada il referendum, il governo del Paese sarà di fronte a determinate scelte:
    1) mantenendosi nell'obbligo dei patti sottoscritti in Europa, dovrà eseguire i compiti2 dettati dalle “potestà” delocalizzate a Bruxelles-Francoforte (e Berlino);
    2) alle prese con continue querelles e rimpalli di responsabilità su muri, migranti e margini di flessibilità di bilancio, potrebbe imboccare la via delle recriminazioni nazionalistiche (come già oggi fa) e prendere le distanze dall'Unione non portandoci tuttavia fuori dal guado, sicché continueremmo a sprofondare inermi nella stagnazione periferica;
    3) andando l'euro e l'Unione in ulteriore crisi per l'accentuarsi delle note dicotomie strutturali, potrebbe essere costretto a prenderne atto e ritrovarsi a fare da sé, a doversi riprendere le potestà cedute;
    4) rimettere in discussione i patti e uscire da incertezze ed ambiguità, senza attendere passivamente eventi più dirompenti, e sganciarsi dall'euro cercando di ri-contrattare la partecipazione all'Unione.
L'attuale linea governativa, di “navigare bordeggiando” tra le prime due opzioni, è precaria, ci condanna ad una instabilità di base, sistemica, a cui vuole sovrapporre una gabbia istituzionale per preservare l'establishment politico-economico. Salvo miracoli, è destinata a divenire sempre più antipopolare ed impopolare. L'accentramento di poteri in capo al partito-governo, consentito dal prevalere del Sì, si tradurrebbe nell'impotenza verso l'esterno Paese e, sul piano interno, in un maggior potere unicamente rivolto ad imporre alla maggioranza degli italiani medicine che aggraverebbero la malattia.
Solo poco tempo guadagnato, di fronte alle restanti due opzioni, che richiederanno proprio quella ripresa di vitalità di democrazia e rappresentanza che la riforma Boschi nega, in mancanza della quale saremo maggiormente esposti all'avventurismo politico.
Note
1 Nella sintesi in riquadro a pag. 2 questo riferimento alla relazione di accompagnamento, presente nell'intervento di Scarpinato, è stato omesso per evitare inutili ripetizioni.

2 Nell'ottobre 2011 Renzi disse al Sole-24ore: “Mi ritrovo nella lettera della Bce. E non condivido l'atteggiamento prevalente del Pd che evoca l'Europa quando conviene e ne prende le distanze se propone riforme scomode.” Erano le riforme poi realizzate dal cosiddetto governo tecnico di Mario Monti, ora sconfessate per demagogia elettorale referendaria.

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Roberto Scarpinato
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Sostiene Scarpinato

«(...) questa riforma non è affatto una revisione della Costituzione vigente, (…), ma (…) una diversa Costituzione, alternativa e antagonista nel suo disegno globale a quella vigente, mutando in profondità l’organizzazione dello Stato, i rapporti tra i poteri ed il rapporto tra il potere ed i cittadini.»
Viene abrogato il diritto di eleggere direttamente i senatori, sicché alla crisi di democrazia e rappresentanza, i riformatori rispondono restringendo gli spazi di democrazia e di rappresentanza.
Dopo aver indicato al nocciolo in cosa consista il superamento del bicameralismo paritario, con riferimento alla legge elettorale detta Italicum, prosegue:
«Alla sostanziale desovranizzazione del popolo, alla disattivazione della separazione tra potere esecutivo e potere legislativo e, quindi, del ruolo di controllo di quest’ultimo sul primo, si somma poi la disattivazione del ruolo delle minoranze che, sempre grazie all’Italicum, sono condannate per tutta la legislatura alla più totale impotenza, avendo a disposizione in totale solo 290 deputati rispetto ai 340 della maggioranza governativa.» Nonostante le minoranze siano in realtà la maggioranza reale del Paese.
Nelle mani del governo si verrebbe, pertanto, a concentrare un potere di supremazia sugli tutti gli apparati in cui si articola lo Stato (Rai, Partecipate pubbliche, enti economici pubblici, varie Autority, vertici di polizia e servizi segreti).
Ma altro è il punto centrale del suo ragionamento critico.
« (…) se le ragioni della riforma dichiarate non sono radicate nella realtà, se ne deve dedurre che vi sono altre ragioni che non si ritiene politicamente pagante esplicitare. (…) Quali sono dunque le reali cause che ostacolano la governabilità nel nuovo scenario macro politico e macroeconomico venutosi a creare nella seconda repubblica per fattori nazionali e internazionali verificatisi dalla seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso?»
Gli strumenti indispensabili per governare la politica economica di un Paese sono essenzialmente tre:
«La potestà valutaria, cioè il potere di svalutare la moneta nazionale in modo da fare recuperare margini di competitività all’economia nazionale nei periodi di crisi. La potestà di bilancio, cioè il potere di finanziare il rilancio dell’economia mediante spesa pubblica in deficit, senza attenersi alla regola del pareggio tra entrate ed uscite.»
«(...) il governo non ha potuto azionare quelle leve per un deficit di governabilità nazionale determinato non dalla Costituzione del 1948, come sostengono i fautori del Si, ma dai trattati europei firmati dal 1992 in poi. Il deficit di governabilità così venutosi a determinare è a sua volta il frutto di un grave deficit di democrazia. Infatti le leve fondamentali per governare la politica economica nazionale, non sono state cedute al Parlamento europeo o ad altro organo espressione della sovranità popolare, ma sono state cedute agli organi prima menzionati – la Commissione europea, la Bce (e per certi versi il Fondo monetario internazionale) – privi di legittimazione e rappresentanza democratica, disconnessi dalla sovranità popolare ma fortemente connessi invece ai grandi centri del potere economico e finanziario.»
Nonostante i riformatori affermino di essere proiettati al futuro: «a me sembra che con questa riforma si rischi di riportare indietro l’orologio della Storia all’epoca del primo Novecento quando prima dell’avvento della Costituzione del 1948, il potere politico era concentrato nelle mani di ristrette oligarchie, le stesse che detenevano il potere economico.»

Riassunto e passi citati da:
Roberto Scarpinato, incontro seminariale “Il referendum sulla Costituzione: sì e no a confronto”, Palermo, Palazzo di Giustizia, 22/11/2016.
Testo intero: http://temi.repubblica.it/micromega-online/scarpinato-%E2%80%9Ctutte-le-ragioni-per-votare-no-a-una-riforma-oligarchica-e-antipopolare%E2%80%9D/

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