Potestà
cedute
Roberto
Scarpinato, attuale procuratore generale presso la Corte d'Appello di
Palermo,
il 22 novembre scorso in un seminario
[vedi riquadro in fondo] sulla
riforma costituzionale, ha mostrato una bella lucidità.
Dalla
sua critica non emerge solo una circostanziata ricostruzione dei
complicati meccanismi tecnico-giuridici, attraverso i quali la
riforma Boschi peggiora democrazia e rappresentanza. Egli svela la
finalità politica non dichiarata ed indicibile che sostanzia il
“combinato disposto” (riforma costituzionale + legge elettorale
Italicum).
Portando
in chiaro innumerevoli fatti, Scarpinato dimostra che non è certo
la Costituzione ad impedire l'efficienza dell'azione di governo
contro il ristagno economico, il declino industriale ed il regresso
sociale. E si chiede:
«Quali
sono dunque le reali cause che ostacolano la governabilità nel nuovo
scenario macro politico e macroeconomico venutosi a creare nella
Seconda Repubblica per fattori nazionali ed internazionali
verificatisi dalla seconda metà degli anni Novanta del secolo
scorso?»
La
risposta è netta: la
rinuncia ad alcune prerogative essenziali per l'esercizio di
sovranità.
Con
i trattati europei firmati dal 1992 in poi, tre potestà essenziali,
monetaria valutaria e di bilancio, non sono più nella disponibilità
nazionale. Sono state delocalizzate, cedute a Commissione europea,
Bce (e Fondo monetario internazionale), organi privi di
legittimazione democratica, disconnessi dalla sovranità popolare ma
fortemente connessi ai grandi centri di potere economico-finanziario.
Pertanto, l'esecutivo non dispone delle indispensabili leve per
governare la politica economica del Paese.
Invece
di trarre ispirazione dalla Costituzione del 1948 per riprendere
vitalità democratica e rappresentativa, la scelta di revisione va
nella direzione esattamente opposta, quella voluta dai “mercati
finanziari”.
Illuminante
il riferimento1
alla relazione che accompagna il disegno di riforma costituzionale,
laddove afferma esplicitamente che essa risolverà i problemi del
Paese, rimediando
«l'esigenza
di adeguare l'ordinamento interno alla recente evoluzione della
governance economica europea e alle relative stringenti regole di
bilancio».
Seguendo
il ragionamento di Scarpinato possiamo arrivare ad ulteriori
considerazioni circa il nostro prossimo futuro.
Scelte
inevitabili
Secondo
Scarpinato, l'arretramento istituzionale consentirebbe a ristrette
cerchie di consolidare un regime oligarchico paragonabile a quello
vigente agli inizi dello scorso secolo. Con tutta evidenza, tuttavia,
non si tratterebbe di un “ricorso storico”, secondo la celebre
teoria di Giambattista Vico, bensì di un corso inedito e persino
peggiorativo. Rispetto a quel periodo interviene una decisiva
differenza: la subalternità nazionale a poteri oligarchici
sovranazionali.
Comunque
vada il referendum, il governo del Paese sarà di fronte a
determinate scelte:
1)
mantenendosi
nell'obbligo dei patti sottoscritti in Europa, dovrà eseguire i
compiti2
dettati dalle “potestà” delocalizzate a Bruxelles-Francoforte
(e Berlino);
2)
alle prese con continue querelles
e rimpalli di responsabilità su muri, migranti e margini di
flessibilità di bilancio, potrebbe imboccare la via delle
recriminazioni nazionalistiche (come già oggi fa) e prendere le
distanze dall'Unione non portandoci tuttavia fuori dal guado, sicché
continueremmo a sprofondare inermi nella stagnazione periferica;
3)
andando l'euro e l'Unione in ulteriore crisi per l'accentuarsi delle
note dicotomie strutturali, potrebbe essere costretto a prenderne
atto e ritrovarsi a fare da sé, a doversi riprendere le potestà
cedute;
4)
rimettere in discussione i patti e uscire da incertezze ed
ambiguità, senza attendere passivamente eventi più dirompenti, e
sganciarsi dall'euro cercando di ri-contrattare la partecipazione
all'Unione.
L'attuale
linea governativa, di “navigare bordeggiando” tra le
prime due opzioni,
è precaria, ci condanna ad una instabilità di base, sistemica, a
cui vuole sovrapporre una gabbia istituzionale per preservare
l'establishment
politico-economico. Salvo miracoli, è destinata a divenire sempre
più antipopolare ed impopolare. L'accentramento di poteri in capo al
partito-governo, consentito dal prevalere del Sì, si tradurrebbe
nell'impotenza verso l'esterno Paese e, sul piano interno, in un
maggior potere unicamente rivolto ad imporre alla maggioranza degli
italiani medicine che aggraverebbero la malattia.
Solo
poco tempo guadagnato, di fronte alle restanti
due opzioni,
che richiederanno proprio quella ripresa di vitalità di democrazia e
rappresentanza che la riforma Boschi nega, in mancanza della quale
saremo maggiormente esposti all'avventurismo politico.
Note
1
Nella sintesi in riquadro a pag. 2 questo riferimento alla relazione
di accompagnamento, presente nell'intervento di Scarpinato, è stato
omesso per evitare inutili ripetizioni.
2
Nell'ottobre 2011 Renzi disse al Sole-24ore: “Mi ritrovo nella
lettera della Bce. E non condivido l'atteggiamento prevalente del Pd
che evoca l'Europa quando conviene e ne prende le distanze se
propone riforme scomode.” Erano le riforme poi realizzate dal
cosiddetto governo tecnico di Mario Monti, ora sconfessate per
demagogia elettorale referendaria.
Sostiene Scarpinato
«(...)
questa riforma non è affatto una revisione della Costituzione
vigente, (…), ma (…) una diversa Costituzione, alternativa e
antagonista nel suo disegno globale a quella vigente, mutando in
profondità l’organizzazione dello Stato, i rapporti tra i poteri
ed il rapporto tra il potere ed i cittadini.»
Viene
abrogato il diritto di eleggere direttamente i senatori, sicché alla
crisi di democrazia e rappresentanza, i riformatori rispondono
restringendo gli spazi di democrazia e di rappresentanza.
Dopo
aver indicato al nocciolo in cosa consista il superamento del
bicameralismo paritario, con riferimento alla legge elettorale detta
Italicum, prosegue:
«Alla
sostanziale desovranizzazione del popolo, alla disattivazione della
separazione tra potere esecutivo e potere legislativo e, quindi, del
ruolo di controllo di quest’ultimo sul primo, si somma poi la
disattivazione del ruolo delle minoranze che, sempre grazie
all’Italicum, sono condannate per tutta la legislatura alla più
totale impotenza, avendo a disposizione in totale solo 290 deputati
rispetto ai 340 della maggioranza governativa.» Nonostante le
minoranze siano in realtà la maggioranza reale del Paese.
Nelle
mani del governo si verrebbe, pertanto, a concentrare un potere di
supremazia sugli tutti gli apparati in cui si articola lo Stato (Rai,
Partecipate pubbliche, enti economici pubblici, varie Autority,
vertici di polizia e servizi segreti).
Ma
altro è il punto centrale del suo ragionamento critico.
«
(…) se le ragioni della riforma dichiarate non sono radicate nella
realtà, se ne deve dedurre che vi sono altre ragioni che non si
ritiene politicamente pagante esplicitare. (…) Quali sono dunque le
reali cause che ostacolano la governabilità nel nuovo scenario macro
politico e macroeconomico venutosi a creare nella seconda repubblica
per fattori nazionali e internazionali verificatisi dalla seconda
metà degli anni Novanta del secolo scorso?»
Gli
strumenti indispensabili per governare la politica economica di un
Paese sono essenzialmente tre:
«La
potestà valutaria, cioè il potere di svalutare la moneta nazionale
in modo da fare recuperare margini di competitività all’economia
nazionale nei periodi di crisi. La potestà di bilancio, cioè il
potere di finanziare il rilancio dell’economia mediante spesa
pubblica in deficit, senza attenersi alla regola del pareggio tra
entrate ed uscite.»
«(...)
il governo non ha potuto azionare quelle leve per un deficit di
governabilità nazionale determinato non dalla Costituzione del 1948,
come sostengono i fautori del Si, ma dai trattati europei firmati dal
1992 in poi. Il deficit di governabilità così venutosi a
determinare è a sua volta il frutto di un grave deficit di
democrazia. Infatti le leve fondamentali per governare la politica
economica nazionale, non sono state cedute al Parlamento europeo o ad
altro organo espressione della sovranità popolare, ma sono state
cedute agli organi prima menzionati – la Commissione europea, la
Bce (e per certi versi il Fondo monetario internazionale) – privi
di legittimazione e rappresentanza democratica, disconnessi dalla
sovranità popolare ma fortemente connessi invece ai grandi centri
del potere economico e finanziario.»
Nonostante
i riformatori affermino di essere proiettati al futuro: «a me sembra
che con questa riforma si rischi di riportare indietro l’orologio
della Storia all’epoca del primo Novecento quando prima
dell’avvento della Costituzione del 1948, il potere politico era
concentrato nelle mani di ristrette oligarchie, le stesse che
detenevano il potere economico.»
Riassunto
e passi citati da:
Roberto
Scarpinato, incontro seminariale “Il referendum sulla Costituzione:
sì e no a confronto”, Palermo, Palazzo di Giustizia, 22/11/2016.
Testo
intero:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/scarpinato-%E2%80%9Ctutte-le-ragioni-per-votare-no-a-una-riforma-oligarchica-e-antipopolare%E2%80%9D/
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